ROMA - Persi tre Mondiali da giocatore, Roberto Mancini ha adesso una mission: farlo con l'Italia da ct. Lo racconta il neo allenatore degli azzurri nell'intervista di copertina del numero di luglio-agosto di GQ, in edicola dal 12 giugno. «Bearzot non mi chiamò nel 1986 perché non chiesi scusa, Sacchi mi lasciò fuori nel 1994 perché non tornai sulla decisione di autoescludermi e nel 1990 Vicini mi convocò ma senza mai schierarmi. Risultato: non ho giocato un minuto di un Mondiale, e la trovo un'assurdità anche se in buona parte la colpa è mia», riconosce il neo ct che, aggiunge, «ora penso a qualificarmi per l'Europeo e poi a disputarlo alla grande, io gioco sempre per vincere. Ma confesso che l'idea del Mondiale, visti i precedenti, già mi frulla in testa».
Tra i giocatori su cui pensa di costruire la riscossa c'è Federico Chiesa, figlio d'arte: «Ogni tanto mi fermo a osservarlo, perché con lui viaggio nel tempo. Federico è identico a Enrico, le stesse finte, la stessa accelerazione, un tiro molto simile. Quest'anno ha segnato poco in relazione alle potenzialità, ma è il classico talento che può esplodere in qualsiasi momento anche dal punto di vista realizzativo. Io me lo aspetto». E poi c'è, ovviamente, il tanto discusso Mario Balotelli: «Provo affetto per lui, è ovvio, ma il suo ritorno in azzurro ha motivazioni esclusivamente calcistiche - spiega - Mario ha soltanto 28 anni, e quindi fa ancora in tempo a prendersi tutte le soddisfazioni che desidera perché al suo background fisico e tecnico ha aggiunto l'esperienza. Insomma, è cresciuto in tutti i sensi. Considerato che la Nazionale è destinata a perdere − subito o nel giro di un paio d'anni − lo zoccolo duro che ci ha tenuto a galla fino al flop con la Svezia, ho bisogno di nuovi leader. Mario ha l'età e la credibilità tecnica per farlo, e per fortuna non è l'unico».