Entrambi di sinistro e… d’estro, prediligendo con l’apostrofo il lato mancino della fantasia, che per l’uno si traduceva nell’ovunque del genio, per l’altro nella fascia opposta al più dolce dei due piedi, con il piacere di rientrare prima del cross per un mezzo dribbling in più. Cediamo solo un attimo alla suggestione di immaginare un passato ipotetico nel quale avessero giocato assieme, quei due: con il pallone che avrebbe toccato terra soltanto se fossero stati loro a ordinarglielo, con la statura simile a comprimere un talento smisurato, entrambi prima del metro e settanta ma giganteggiando palla al piede, braccati ogni volta dalle più buone intenzioni con le quali gli avversari avrebbero messo in pratica i più cattivi interventi. Bruno Conti e Diego Maradona da avversari si sono affrontati più di una volta; ovviamente si sono conosciuti ma, quel che più conta, si sono riconosciuti: in nome di quella stessa natura che sceglie quelli ai quali affidare una dose speciale di talento, affinché il mondo li chiami poi predestinati.
Diego
Tra le convinzioni di Diego Armando Maradona, c’era quella di voler, diremmo quasi dover, giocare assieme a Bruno Conti: non solamente contro; quello era già accaduto nel girone dei quarti di finale tra Italia e Argentina in Spagna nel 1982 e nel girone iniziale di Messico ‘86; sarebbe poi accaduto più volte nel campionato italiano, nelle sfide tra una Roma che faticava a mantenere la grandezza raggiunta all’inizio del decennio ‘80-‘90 e un Napoli che, sotto l’egida del carisma e della classe di Diego, quel decennio lo avrebbe dominato in condominio col Milan di Sacchi e l’Inter di Trapattoni ma che più delle due milanesi lo avrebbe caratterizzato, proprio perché con l’argentino il club aveva acquisito lo status di club attrezzato per vincere più volte, come poi accadde, non solo il picco della grande vittoria, il primo scudetto del 1987, che sarebbe potuta restare episodica.
Bruno
Bruno Conti si è sempre sentito lusingato da quella sorta di investitura per mezzo della quale Maradona lo collocava al livello di chi poteva parlare il suo stesso linguaggio tecnico. C’era da farsi girare la testa, allo stesso modo con cui Conti reiterando dribblinge finte la faceva girare a chi si avventurava nel tentativo di intercettarlo, spesso annegando in quella specie di torrente che diventava la fascia destra, impetuoso quando Bruno accelerava in una persistenza di giocate mai fini a loro stesse. Sarebbe stato adatto, anzi, perfetto per una piazza come Napoli, perché aveva le caratteristiche per trascinare una folla che non aspetta altro che arrivi ad accenderle la miccia dell’entusiasmo uno di quei giocatori che le corrisponde per inventiva e temperamento. Ma aveva la maglia della Roma cucita sulla pelle e la pelle di conseguenza ormai ambrata di giallorosso, come gli uomini blu del deserto a forza di indossare le tuniche di quel colore. E quel tipo di pubblico lo aveva già all’Olimpico; un pubblico che in quegli anni se e quando fischiava Maradona lo faceva solamente a causa di quella particolare forma di rispetto che è la paura del grande avversario. Lo stesso, peraltro, accadeva a Napoli, nello stadio che ancora si chiamava “San Paolo” e che, pur maledicendoli, si stropicciava gli occhi davanti ai ghirigori di Bruno Conti dei quali restava il segno accanto alla linea laterale.
Giocatori Mondiali
Nel Mondiale del 1986 che Maradona vinse, dominò e soprattutto interpretò non soltanto grazie alla sua classe, ma anche a uno sconfinato carisma, Conti, come tutti i reduci azzurri dell’impresa del 1982, non riuscì a ripetere il livello assoluto di prestazioni e di singole giocate che aveva esibito in Spagna. Basterebbe rivedere il gol segnato al Perù dal limite dell’area per capire la summa tecnica incarnata da un giocatore come lui, dalla piroetta con la quale aveva preparato la conclusione fino al tiro secco e precisissimo. Percorso inverso a quello di Maradona che, attesissimo nel 1982, regalò ovviamente perle degne del suo già acclarato status di fuoriclasse, ma non riuscì a gestire la frustrazione per le marcature asfissianti, in particolare quella di Claudio Gentile contro l’Italia e di Batista contro il Brasile. Quattro anni dopo invece Diego si prese la scena al punto tale che convinse parecchi compagni della sua nazionale di essere più forti di quanto in realtà fossero e fece scoprire loro la legittimità di un’ambizione monumentale. Tutti continuano a riproporre il meraviglioso gol all’Inghilterra, seguito a quello di mano per gli argentini addirittura sublime, ma riguardatevi quello segnato al Belgio, forse più bello ancora, o l’assist per il 3-2 definitivo nella finale contro la Germania.
Insieme
In tante foto di repertorio li si vede abbracciati con le maglie di Napoli e Roma, prima o dopo le tante partite che animavano il cosiddetto “Derby del Sud”: bastano quelle istantanee a far capire la compatibilità della loro classe, l’affinità elettiva di due fantasisti che chissà quante volte si sarebbero mandati a rete a vicenda. Del resto BrunoConti, da pronunciare tutto attaccato, conta quattro sillabe, esattamente come Maradona: perfezione da scandire con i tempi dei loro assist. E quattro sillabe conta anche il soprannome Marazico, che Conti nel 1982 si meritò prendendo in prestito metà del cognome di Diego. Ce li siamo goduti entrambi al punto tale che vederli insieme, ora che ci riflettiamo, sarebbe stato persino troppo.