Quattro stagioni con la maglia della Lazio, ricche di gol, emozioni e momenti da ricordare. Ruben Sosa è stato l’idolo di un’intera generazione di tifosi biancocelesti. L’uomo che con i suoi spunti e il suo carisma è stato il punto di riferimento di una squadra che provava a spiccare il volo. È arrivato giovanissimo nella Capitale. Si è caricato sulle spalle una squadra appena salita dalla Serie B e a suon di gol ha ricreato passione ed entusiasmo. In una Lazio attenta ai conti e al bilancio, con poche risorse economiche e con tanti avversari di livello (erano gli anni in cui le squadre italiane primeggiavano in Europa), ha formato con Karl Heinz Riedle una delle coppie offensive meglio assortite del campionato italiano. Ha segnato reti decisive nei derby. Ha creato un feeling speciale con la Curva Nord, dove si recava a vedere le partite quando era squalificato o infortunato. E quando ha lasciato la Capitale, per trasferirsi all’Inter, ha creato un vuoto nel cuore dei tifosi. "Che comunque è stato subito ricucito da Beppe Signori, che ha preso il mio posto e ha fatto tanti gol", sorride a distanza di anni.
L’AMORE DEI TIFOSI - Il suo nome verrà per sempre legato alla Lazio, squadra con la quale ha collezionato 140 presenze, con una cinquantina di gol. "A volte mi chiedono cosa ho vinto in carriera. E prima ancora delle coppe o dei trofei alzati da altre parti, mi piace rispondere che tra i miei successi più belli c’è l’amore dei tifosi della Lazio. Pensare che ancora oggi allo stadio il mio nome viene ricordato è un motivo di grande orgoglio. Tempo fa un ragazzo che gioca nella mia scuola calcio era a Roma ed è andato allo stadio a vedere una partita della Lazio. Quando è partito il coro con il mio nome mi ha chiamato al cellulare per farmelo ascoltare. Credo di aver lasciato un segno molto grande alla Lazio". Quattro stagioni nella Capitale e tante battaglie a difesa dei colori biancocelesti. Con la sua velocità ha fatto tremare le difese avversarie e con il suo sinistro ha segnato reti bellissime. "Ho dei ricordi molto belli di Roma e della Lazio. Eravamo una squadra che all’inizio lottava per rimanere in A. Giocavamo nel campionato più forte e competitivo del mondo. Dove c’erano Maradona, Gullit, Van Basten, Matthaus, Mancini, Vialli, eppure riuscivamo a dire la nostra. Il ricordo più bello è legato allo Stadio Flaminio. Abbiamo giocato un anno in quello stadio, piccolo e pieno di passione, con i tifosi attaccati a noi. Partite bellissime, ogni tanto rivedo quei video, quei gol e mi emoziono ancora. I tifosi ai gol impazzivano. È stato bellissimo".
UOMO DERBY - Straordinario il feeeling con i tifosi biancocelesti. "I laziali sono unici. Allegri. Vivono il rapporto con la squadra in maniera molto forte. Quando ero a Roma e passeggiavo per il centro ogni tre metri trovavo un laziale che mi fermava. Che mi parlava, che mi chiedeva un autografo o che semplicemente voleva abbracciarmi. A Milano queste cose non accadevano". Ruben Sosa è ancora oggi ricordato come un uomo derby. Ha lasciato il segno in stracittadine equilibrate e sentite. Partite intense, ricche di pathos e di colpi proibiti. Gare che finivano spesso in parità, dove la paura di perdere era più grande della voglia di vincere. Derby in cui ha segnato in tutti i modi: con il suo sinistro al fulmicotone, in acrobazia e addirittura di testa, pareggiando una sfida (con la Lazio in nove) che sembrava segnata. "Fare un gol al derby era come segnare dieci reti in altre partite. Io abitavo sulla Cassia, a San Gaudenzio. Stavo in una piazzetta piena di negozi. La settimana del derby il macellaio mi prometteva che, se avessi segnato mi avrebbe regalato tutta la carne che volevo; il barista mi garantiva caffè gratis per una settimana. Il derby era questo e in campo facevamo di tutto per vincerlo. O almeno per non perderlo".
AMARILDO E RIEDLE - In quattro anni ha cambiato tanti partner offensivi. Ha iniziato giocando al fianco di Dezotti, poi, nella stagione al Flaminio, ha duettato con Amarildo. "L’unico brasiliano che conosco con 49 di piede. Non ne avevo mai visto uno così. Lo vedevi e pensavi: questo non può essere un brasiliano. Eppure con i piedi non era male. Di testa poi era bravissimo. Ha segnato tanti gol alzandosi in volo sopra gli avversari. Ancora oggi lo sento. È un mio amico. Era un atleta di Cristo. Prima regalava le bibbie agli avversari e poi in campo gli menava. Un grande". Straordinaria l’intesa con Riedle. "Con lui e Doll abbiamo formato un terzetto fortissimo. Riedle era un centravanti straordinario, un numero nove completo. Abbiamo giocato insieme alla Lazio e poi anche al Borussia Dortmund. Insieme ci completavamo. Abbiamo formato una bella coppia, che Dino Zoff, dalla panchina ha saputo sfruttare alla grande. Il mister era fortissimo. Tranquillo, umile, calmo. Non l’ho mai visto incavolarsi con nessuno. Ti diceva le cose con serenità. A volte in panchina sembrava che dormisse, ma invece era bello sveglio e attento. Una grande persona. Una volta durante gli allenamenti venne da me e mi disse: “Se mi metto i guanti e torno in porta non mi fai neanche un gol”. Io gli risposi che ormai aveva quasi sessanta anni e che si sarebbe fatto male. Bene, gli ho fatto una decina di tiri, simulando le punizioni. Me li ha parati tutti". Amato dai tifosi e dai compagni. Era il leader del gruppo, che sapeva tenere unito a suon di scherzi. "Ne ho fatti tanti, ma mai quanti Gascoigne. Mi dispiace non essere riuscito a stare con lui, perché quando arrivò era infortunato e quando è tornato a giocare io ero già all’Inter. Avremmo fatto una coppia incredibile. Ma lui era sicuramente più pazzo di me".
L’ADDIO - Il passaggio a Milano si consuma l’estate del 1992. "L’anno precedente ho fatto di tutto per rinnovare il mio contratto con la Lazio, ma il presidente Calleri non era d’accordo. Mi disse di iniziare la nuova stagione insieme e poi di decidere a fine anno cosa fare. Credo che l’idea di cedermi era già stata presa. Lasciare Roma e la Lazio non è stato facile. Anche perché andavo all’Inter come quinto straniero: c’erano già Pancev, Sammer, Shalimov. Alla fine però sono riuscito a ritagliarmi un bello spazio anche lì. La cosa più strana e difficile è stata affrontare la Lazio da avversario. La prima volta sono andato nello spogliatoio a trovare i miei ex compagni e a tutti ho fatto l’in bocca al lupo. Ma entrare in campo e trovarmi come loro avversario è stato molto strano. Un colpo al cuore. Alla Lazio ero e sono molto legato. Così come all’Inter. Sono le due squadre che mi sono rimaste nel cuore. La Lazio mi ha preso ragazzino e mi ha fatto diventare un grande calciatore. L’Inter mi ha permesso di giocare in una squadra fortissima. Sarò sempre grato a entrambe".