ROMA - Chiudere gli occhi e immaginare Juventus-Roma, quella che contava e che segnava il destino del campionato. La sfida anni ’80 tra la superpotenza bianconera e il sogno giallorosso che stava per sbocciare. Grazie soprattutto a Paulo Roberto Falcao. L’Ottavo Re, il Divino, il calciatore che più di tutti nella storia romanista ha segnato il passaggio tra speranza e realtà. Insieme a Totti l’icona della romanità. Anche anti-juventina. Ecco, chiudendo gli occhi molti tifosi (anche bianconeri) ricorderanno quella maglia numero 5 che si contrapponeva alla 10 di Platini. Probabilmente il punto più alto della storia del nostro campionato. Oggi Falcao vive il dramma del Covid nel suo palazzo di Porto Alegre, nel Brasile meridionale, insieme con la moglie Cristina e la glia Antonia di 15 anni. E ricorda con nostalgia quelle sfide senza dimenticare il famigerato gol di Turone.
Falcao, innanzitutto come se la passa in Brasile?
«Esattamente come voi ve la passate in Italia. Si riapre e si chiude tutto a seconda di quanto sono pieni gli ospedali. La mia sensazione è che nessuno ci sta capendo niente. E' un momento triste anche per il calcio con gli stadi vuoti e lo spettacolo che ne risente».
Juventus-Roma, cosa significa per lei?
«C’era sempre una tensione incredibile, anche tra i tifosi. E' stato un derby nazionale, o meglio lo è diventato in quegli anni. Prima si parlava quasi solo delle sfide tra la Juve e il Torino, Milan o Inter. La Roma in quegli anni ha meritato di giocarsela alla pari con la squadra più forte. Non è stata sempre la partita più importante o comunque quella decisiva per vincere lo scudetto. A parte nel 1981...».
Parla del gol di Turone?
«Certo, è stato uno scandalo. Quello non fu uno scudetto perso, ma tolto. Non ho mai visto in vita mia una cosa del genere. Quando Di Bartolomei ha alzato la palla, alle spalle di Gentile, per Pruzzo che ha colpito di testa io sono arrivato in velocità e non sono riuscito ad arrivare sul pallone. Vuol dire che ero dietro la linea, non ero in fuorigioco. Turone tanto meno visto che veniva ancora più da dietro».
Che sensazione avete provato?
«Impotenza, un fatto scandaloso che ha deciso un campionato. Era il gol dello scudetto. Ancora oggi nessuno ha detto chi era in fuorigioco. Erano 40 anni che la Roma non vinceva il tricolore, dietro quel pallone c’era una storia. E' stata una sofferenza per tutti: della gente che stava sempre dietro la squadra, per noi giocatori che stavamo dando tutto in campo. Non era solo una partita».
Qualche mese dopo un suo gol decise la sfida sempre al Comunale. Una sorta di rivincita scritta?
«Un bel ricordo, ma la vera prova che eravamo più forti è arrivata circa 15 giorni dopo quando in Coppa Italia abbiamo eliminato in semifinale proprio la Juve a Torino vincendo 0-1 con gol di Ancelotti. Per noi era importante dimostrare che meritavamo lo scudetto, è il mio ricordo più bello contro la Juventus. Poi in finale abbiamo battuto il Torino ai rigori».
Pero? segnare un gol decisivo a Torino anche in quegli anni non è roba da tutti i giorni...
«Assolutamente no. E' stata la partita che ci ha rimesso in lotta per lo scudetto anche in quel-a stagione. Conti è andato sul fondo e ha crossato, ho visto il pasticcio tra Brio e Zoff e ho approfittato del regalo. Ricordo ancora il titolo del Corriere dello Sport-Stadio il giorno dopo: “Riaperta la corsa scudetto”. Se perdevamo lì andava a 5 punti di distanza e di quei tempi erano tantissimi. La Juve era, ed è, una società fantastica, nessuno può discuterlo. Quindi batterla a casa sua rappresenta un qualcosa di importantissimo. Oggi quanti scudetti ha vinto di fila?».
Nove...
«Eh cavolo, questa è una squadra che deve essere invidiata. Quindi pensate quanto poteva essere bello vincere lì e quanto magari sarebbe bello vincere sabato».
Oggi è diventato ancora più difficile, ma quella rivalità non si sente più come ai vostri tempi
«Manca la competitività non la passione. La Juve e? sempre stata davanti di troppi punti in questi anni mentre negli anni ’80 si sentiva la tensione. Le altre squadre sono rimaste un po’ indietro, compreso la Roma che però ora mi pare sia sopra i bianconeri. Quindi magari è la volta buona».
C’e? un giocatore della Juve di quegli anni che avrebbe voluto nella sua Roma?
«Senza dubbio Marco Tardelli. Oggi tutti parlano di box to box come se fosse un qualcosa di moderno, ma non è vero niente. Tardelli ti arrivava davanti con molta facilità pur partendo da dietro. Come facevano pure Mattha?us e Cerezo. Marco era un giocatore di grande rendimento. Ce ne erano tanti forti, ma se ne devo scegliere uno mi prendo lui».
Il Quaranta torna spesso. Lo sa che il 22 febbraio di 40 anni fa segnava il suo primo gol romanista in Serie A?
«Certo, contro il Bologna su cross di Scarnecchia. Venivo da un po’ di critiche, ma era giusto così. I media devono criticare quando le cose non vanno altrimenti che ci stanno a fare?».
Quando è sbarcato in Italia cosa ha provato?
«Mi sono detto: ma sono in Italia o mi hanno riportato in Brasile? Perché all’aeroporto c’erano tantissime persone, un’atmosfera incredibile. Nella mia testa c’era il pensiero: vado in Europa e trovo giusto qualche giornalista. Mica sarà caldo come in Brasile. Mi sbagliavo, era proprio un altro Brasile. Ma non era per Falcao».
E per chi?
«Per una speranza, all’epoca nessuno mi conosceva in Italia. Mica è come adesso che possiamo vedere pure il calcio cinese in televisione. Era la speranza di poter vedere qualcosa di nuovo, di sognare. Poteva essere Falcao o Pinco Pallino o Zico. Oggi appena prendono un giocatore sai tutto di lui».