ROMA - Uno dei centrocampisti più forti e completi che la Lazio ha potuto annoverare tra le sue fila. Una via di mezzo tra il classico incontrista, capace di aiutare la difesa, iniziare l’azione, regalare assist ai suoi compagni, e un numero 10 a tutti gli effetti, in grado con le sue giocate di accendere l’entusiasmo e risultare decisivo. Thomas Doll ha fatto impazzire il pubblico biancoceleste. Nei primi anni Novanta ha entusiasmato l’Olimpico a suon di numeri incredibili.?Ha formato con il connazionale Karl Heinz Riedle una coppia eccezionale. Dentro e fuori dal campo. Ha segnato gol belli e importanti: ha regalato assist prima a Ruben Sosa e poi a Beppe Signori. Ma soprattutto ha sostituito in campo e nei cuori dei tifosi un idolo come Paul Gascoigne. «Se Gazza non si fosse infortunato, probabilmente la Lazio non mi avrebbe mai preso – ricorda a distanza di anni –. Regalia, infatti, venne da me appena Paul si infortunò nella finale di FA Cup con la maglia del Tottenham. Un infortunio bruttissimo».
L’Italia del grande calcio
Dagli abissi si risale sempre in superficie. Così dalla disperazione per l’infortunio di un fuoriclasse come Paul Gascoigne, la Lazio trova la forza di guardare oltre. «Appena ho ricevuto la proposta della Lazio ho accettato immediatamente. In Italia si giocava il campionato più bello del mondo e c’erano i giocatori migliori. In più c’erano tantissimi tedeschi: Matthaus, Brehme e Klinsmann all’Inter, Voeller e Hassler alla Roma, Kohler, Reuter e Moeller alla Juventus. Anche Bierhoff che all’inizio ebbe qualche difficoltà, ma poi esplose. Alla Lazio c’era già Karl Heinze Riedle, un attaccante straordinario». Erano anni in cui le squadre italiane dominavano in Europa e dove primeggiare in campionato non era semplice. Ci si scontrava con il Milan di Baresi, di Costacurta e degli olandesi. Con la Juventus di Baggio e Schillaci e col Napoli di Maradona e Careca. La Lazio provava a risalire la china e a lottare per un piazzamento europeo. «Stavamo crescendo. Il gruppo iniziale era composto da giocatori di grande esperienza come Pin, Sclosa, Cristiano Bergodi, dal capitano Angelo Gregucci. Grandissimi ragazzi dentro e fuori dal gruppo. Poi sono arrivati calciatori di qualità come Boksic, Winter, Beppe Signori, Cravero, Marchegiani e Fuser. Eravamo un bel gruppo, formato da ottimi calciatori».
Dribbling e gol
Thomas Doll non ha problemi di ambientamento. Si integra subito negli schemi di Zoff e nel campionato italiano. «Mi sono trovato immediatamente a mio agio. Venivo da ventiquattro anni di Germania dell’Est e non ero abituato al calore e alla passione che ho trovato in Italia. I tifosi che ti fermavano per gli autografi, per le fotografie. Sono rimasto colpito da tutto questo calore e dalla mentalità italiana. E in campo le cose sono andate subito bene». La partenza è straordinaria: nella sua prima gara di campionato, contro il Parma, Doll regala subito un assist a Stroppa. A Torino entra nell’azione del gol di Ruben Sosa, mentre ad Ascoli è il protagonista assoluto. «Mi ricordo che feci un assist e alla fine segnai un gol dribblando tre giocatori prima di insaccare. Quel- la trasferta ad Ascoli non la posso dimenticare. Segnare e fare dribbling ai difensori italiani non era semplice. C’erano dei terzini tosti, atleticamente molto forti. Capitava anche di prendere delle belle botte. Per un fantasista non era mica facile». Ma Doll non si faceva troppi problemi. Incantava per continuità di rendimento ed era in grado di innescare gli attaccanti con giocate di livello. Per il suo modo di giocare sembrava un fantasista. «Ma io non mi sono mai considerato un vero e proprio numero 10. Quel numero è bello da indossare, da mostrare con orgoglio, ma io mi sono sempre considerato più un numero 8. Non ero solo un assistman, cercavo di essere in ogni zona del campo. Correvo tantissimo, mi piaceva fare la fase offensiva, ma anche la fase difensiva. Aiutare sia i difensori che gli attaccanti. All’inizio della mia carriera giocavo punta, poi nell’Amburgo piano piano ho arretrato la mia posizione, giocando dietro gli attaccanti. Questo perché di gol non ne ho mai fatti tanti. Ho sempre fatto più dribbling che gol».?Eppure nella sua prima stagione laziale ne segna sette. «Il primo anno è stato eccezionale, poi sono arrivati degli infortuni che mi hanno condizionato». Il secondo anno si ritrova in ballottaggio con Winter, Riedle e Gascoigne. Per il regolamento italiano ne possono giocare solo tre contemporaneamente. «Andare in tribuna non piaceva a nessuno. Ma sapevamo che eravamo in tanti e toccava a Zoff scegliere. Quindi ogni decisione si accettava. È toccato restare fuori a me, a Gascoigne, a Winter e a Riedle. Kalle era il centravanti della nazionale tedesca, eppure accettava anche la tribuna. Tra di noi c’era competizione, ma grande rispetto e la nostra amicizia fuori dal campo ha aiutato».
Gascoigne, Sosa e Riedle
«Ogni volta che vengo in Italia mi chiedono tante cose su Gazza. Potrei scrivere un libro su di lui. Tanti pensano solo agli scherzi, ma Paul aveva un cuore d’oro. Quando arrivava dall’Inghilterra portava sempre dei regali per i calciatori più giovani. Pensava soprattutto a chi aveva pochi soldi. L’ho visto con i miei occhi portare al campo di allenamento i giovani della Primavera senza macchina. Paul era uno che faceva scherzi, ma era anche uno che faceva gruppo». Impossibile dimenticare alcune gag. «Eravamo in ritiro a Seefeld in Austria. Un fotografo si avvicina e Gazza gli chiede di non fotografarci. Glielo dice una volta, poi una seconda, infine una terza, ma lui niente: si avvicina e scatta. Bene, quella macchinetta, che valeva un sacco di soldi, è finita nel fiume. A me ogni tanto spariva qualche calzino e sapevo perfettamente chi era stato. Senza dimenticare quella volta che mi legò i lacci degli scarpini e ci misi tantissimo a slacciarli. Entrai in campo che l’allenamento era quasi finito». Il suo bottino laziale recita 73 presenze, 12 gol e una quindicina di assist. Con le sue giocate gli attaccanti andavano a nozze. «Ruben Sosa un giocatore e una persona eccezionale. Era il cuore della Lazio. Aveva una botta col sinistro pazzesca. Segnava in ogni modo. Negli allenamenti l’ho visto calciare a piedi nudi ed era in grado di centrare l’incrocio dei pali con delle botte incredibili. Aveva un mancino impressionante». Ottima l’intesa con il connazionale Riedle. «Era l’uomo dei colpi di testa. A me bastava alzare la palla in area di rigore, poi ci pensava lui. Ma non era solo bravo di testa. Aveva anche un’ottima tecnica individuale».