"Ho due sogni: il primo è giocare ai Mondiali e il secondo è vincerli". Più che un desiderio, è una profezia. A pronunciare queste parole è un bambino proveniente dalla periferia di Buenos Aires, da Villa Fiorito per l'esattezza. E' piccolo, tarchiato, ha i capelli crespi e il genio nel piede sinistro. E' figlio di Don Diego e Dona Tota: si chiama Diego Armando Maradona. Oggi quello che per molti è stato il calciatore più forte di sempre compie 60 anni. Un genio capace di trascinare fino in cima al mondo la nazionale argentina e di essere ricordato a Napoli, e non solo, come un Dio.
Gli inizi in Argentina
Un prodigio che diventa fuoriclasse: con gli Argentinos Juniors esordisce in Prima Divisione dieci giorni prima di compiere 16 anni (sarà battuto da Sergio Aguero, che guarda caso diventerà marito di sua figlia). Il calcio lo vive a modo suo: non per conquistare trofei o segnare gol, ma per trascinare un popolo. Prima quello di Villa Fiorito, poi quello di Buenos Aires e, infine, tutta l'Argentina. Con gli Xeneizes arriva il suo primo titolo in carriera, il Trofeo Metropolitano nel 1981. Non basta: Diego ha un cuore gigante e non si accontenta di essere leader in campo e nello spogliatoio, vuole andare oltre. Per il Mondiale casalingo del 1978 non viene convocato da Menotti, ma dopo il successo iridato raggiunto da Passarella e compagni, Diego diventa titolare e finalmente può indossare con costanza la “Diez” della Seleccion. Il fallimento in Spagna nel 1982 fa solo da preambolo a quello che si trasformerà in un inevitabile successo.
Lo sbarco in Europa
Nel frattempo Diego sbarca a Barcellona, ma nonostante 22 reti in 36 presenze nell’arco di due campionati, non riesce ad imporsi nella Liga. Vince comunque una Coppa della Liga, una Coppa e una Supercoppa di Spagna. Nel 1984 lo sbarco a Napoli. Cambia tutto. Il giorno della presentazione lo accolgono quasi 50.000 persone: un'ondata d'amore che neanche in Argentina era riuscito a ricevere. Maradona si sente a casa: gioca per regalare un sorriso alla gente povera, che dimentica ogni disgrazia grazie ad un suo tocco di palla. I suoi gol fantascientifici portano il Napoli in alto, a lottare per lo scudetto.
Il Mondiale
Intanto, nel 1986, in Messico, si carica sulle spalle tutta l'Albiceleste. Cinque gol e cinque assist in sette partite per portare l'Argentina sul tetto del mondo. Una rete di mano, quella di Dio, nella stessa partita in cui salta tutta l'Inghilterra siglando il gol del secolo. Questa resta forse la partita più iconica e nella quale si può riassumere il genio e la sregolatezza di Diego Armando Maradona. Una doppietta al Belgio in semifinale e il tocco in profondità per Burruchaga in finale, sigillano la vittoria per 3-2 sulla Germania. Diego realizza quel sogno che aveva fin da bambino, è campione del mondo ed è indiscutibilmente il miglior calciatore del pianeta: vuole regalare la stessa gioia ai tifosi partenopei.
Le vittorie in azzurro
Il più piccolo in campo, ma nello stesso momento il più grande: nel 1987 porta il Napoli a vincere il suo primo scudetto e la Coppa Italia. El Pibe de Oro è padrone indiscusso del calcio. Nessuno come lui: per carisma, genio e sregolatezza. In campo Diego è unico. Fuori, però, vive a modo suo. Vince ancora: una Coppa Uefa, una Supercoppa italiana e un altro scudetto, ma la ragnatela di vizi e pericoli che lo circondano lo costringono ad allontanarsi da Napoli.
Una leggenda intramontabile
C'è chi lo ama, c'è chi lo detesta. Sarebbe meglio non prenderlo come esempio di vita, ma una cosa resta indiscutibile: Diego Armando Maradona è ciò che più si è avvicinato alla perfezione su un campo di calcio. Nessuno gli ha mai dovuto insegnare nulla. La natura gli ha dato tutto ciò di cui aveva bisogno per diventare il migliore di sempre: un sinistro fatato, un carattere impenetrabile e un cuore gigante. Semplicemente onnipotente: un Dio del calcio che ha fatto prostrare chiunque davanti alle sue giocate.