Una gioia che non si dimentica. Una gioia calda che esplode in un trionfo di passione per il finale speciale di una partita speciale. È l’uomo che non ti aspetti, Alessandro Renica, al posto giusto nel momento giusto per trasformare un sogno in un destino. Lì, dove serve, dopo l’uscita dal campo di Maradona. Lì, a centro area, all’ultimo secondo del ritorno dei quarti di Coppa Uefa del 1989 contro la Juventus. Dopo lo 0-2 dell’andata, a un respiro dai calci di rigore al San Paolo, Careca traccia la parabola per Renica, libero di nome e di fatto. Il suo colpo di testa, rivissuto con gli occhi del cuore e il supporto di Youtube da generazioni di tifosi in trent’anni, la dice lunga sulla voglia di vincere del Napoli.
CHE IMPRESA - Il San Paolo era stracolmo quel giorno. Sarebbero potuti entrare in 150 mila, se gli spalti fossero stati capienti abbastanza da contenerli tutti. Inseguivano un’emozione, speravano di essere condotti insieme verso un sogno di riscatto, verso una rivincita dalle difficoltà di una squadra del Sud contro le grandi d’Europa. È feroce il pressing voluto da Ottavio Bianchi, Maradona la sblocca su rigore, Renica contiene Barros con una spinta energica in area, Carnevale raddoppia al tramonto del primo tempo. Poi la partita è una lunga camminata al bordo del burrone, sospesi tra la paura e la voglia, tra la ricerca di un gol e l’esigenza di non scoprirsi. Fino a quel colpo di testa che libera nella notte di Napoli l’elettricità di una gioia senza precedenti. E sarà storia, verranno le notti di Maradona che palleggia mentre gli altoparlanti dell’Olympiastadion di Monaco di Baviera riscaldano l’atmosfera con le note di “Live is Life” degli Opus. La notte magica del Diez nel ritorno della semifinale contro il Bayern, dopo il 2-0 dell’andata, prelude alla finale con lo Stoccarda: 2-1 in rimonta all’andata, Alemao, Ferrara e Careca mettono i gol perché Maradona metta le mani sulla coppa e la alzi dopo un 3-3 che ripaga l’orgoglio e riflette la storia.
LA CARRIERA - Una storia che magari sarebbe andata diversamente senza il colpo di testa di Renica, libero mancino e longilineo nato per caso ad Anneville sur Mer, in Francia, 200 abitanti o poco più con una spiaggia buona per il surf. Ha un sinistro potente, un certo gusto per i duelli aerei, una visione di gioco da difensore moderno e un senso tattico che gli permette di essere sempre al centro dell’azione, dove conta di più. Cresciuto a Verona, dopo la trafila nelle giovanili del Vicenza arriva in Serie A in meno di tre anni con la Sampdoria. Il primo brivido, contro il “suo” Verona: segna un gran gol che vale il pareggio, in porta c’è Garella con cui poi avrebbe giocato a Napoli. Al San Paolo lo vuole il manager Italo Allodi. Diventa titolare subito, si impone come uno dei pochissimi liberi insieme a Passarella, nella Serie A 1985-86, capace di saltare il centrocampo avversario con i suoi millimetrici lanci. Segna due gol che valgono due vittorie contro Atalanta e Bari. L’anno successivo timbra l’arrivo della primavera con una punizione dal vertice destro dell’area che sguscia beffarda tra le gambe di Tacconi, costretto a voltarsi e a rendersi conto dell’errore che, come un segno del destino, spalanca al Napoli l’orizzonte del primo storico scudetto. Renica si erge a leader silenzioso di una squadra che regala un sogno a una città intera, che toglie un popolo dalla prigionia del sogno. Alla Juve segnerà ancora, su rigore, nel 5-3 a Torino del 1988. Si commuove, e non potrebbe essere altrimenti, nel giorno della festa in un contesto irripetibile. È un regalo, quel tricolore, per chi l’ha visto e per chi non c’era, per chi festeggia e chi non sa cosa si è perso. Un trionfo impagabile, che resterà nella memoria, e sarà impreziosito con la Coppa Italia. È il suo gol da 40 metri a mettere in discesa la finale contro l’Atalanta.
INSIEME A DIEGO - Renica diventa grande amico di Maradona, che lo sfida a fine allenamento in interminabili duelli ai calci di rigore con Pino Taglialatela terzo incomodo e portiere. Piange di rabbia quando il Milan degli olandesi di Sacchi vince 3-2 al San Paolo e scuce dalle maglie azzurre un secondo tricolore che per molti il Napoli avrebbe meritato di vincere. Lo festeggia comunque il secondo titolo, dopo la Coppa Uefa, anche se la stagione 1989-90 gli regala più preoccupazioni che soddisfazioni. Mette insieme otto presenze in campionato per l’infortunio muscolare che lo ferma dopo aver avviato con un gran tiro cross la rimonta da 0-2 a 3-2 sulla Fiorentina. Seguiranno altri infortuni muscolari, e altre 19 partite nell’ultima stagione, sua e di Maradona. È finito un ciclo. Ma Napoli non dimenticherà il suo leader perbene, silenzioso e leale.