Vierchowod, lo “Zar” di Roma e Samp

È stato uno dei migliori difensori di sempre del nostro calcio e ha legato il suo nome a due città vincendo lo scudetto
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Rude, concreto, incollato all’uomo come solo la vecchia scuola difensiva italiana sapeva insegnare. Imperioso come uno zar. Era “Lo Zar ”. Non ci sono più difensori come Pietro Vierchowod. Ha attraversato il calcio italiano anni ’80 e ’90, quello “più bello del mondo”, ha marcato Maradona e RonaldoVan Basten e Batistuta, e ne è uscito il più delle volte vincitore. Per gli attaccanti avversari un incubo, per i tifosi di Roma e Samp un dolce ricordo dai contorni tricolore.
LE ORIGINI - Nel calcio i soprannomi non mancano. Prendi lo Zar. Vierchowod se lo trova cucito addosso per via delle sue origini. Il padre, Ivan Luchianovic Vierchowod, soldato dell’esercito sovietico, arriva in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, e alla fine, in Ucraina, a lavorare in fabbrica, non ci vuole più tornare. Si stabilisce nel bergamasco, a Spirano, dove suo figlio Pietro gioca a calcio, ma solo dopo essere andato a lavorare come idraulico. Pietro se la cava con i tubi, ma ancora meglio con il pallone di cuoio. Dopo la Serie D con la Romanese, esplode a Como. In riva al Lario è protagonista della doppia promozione, dalla C alla B fino alla Serie A, a soli 20 anni. Il 14 settembre 1980, in Como-Roma 0-1, esordisce nella massima serie. Non la abbandonerà più.
L’ANNATA ROMANA - Viene acquistato dalla Sampdoria. Il presidente Mantovani lo manda in prestito alla Fiorentina. Ci rimane un anno, con i viola sfiora lo scudetto. Non vorrebbe lasciare Firenze, ma Mantovani lo rassicura: «Ti manderò in una squadra che vincerà lo scudetto». Sbarca a Roma. Si dice che per il suo arrivo sia intervenuto addirittura Giulio Andreotti, tifoso giallorosso. Pietro, dal carattere spartano e disciplinato, arriva al ritiro di Brunico nell’ estate 1982. A tavola, i calciatori della Roma mangiano pizza e wurstel, e la birra non manca. Non crede ai suoi occhi. Bomber Pruzzo
gli schiarisce le idee: «Da noi puoi fare quello che vuoi, l’importante è che la domenica rendi, altrimenti ne paghi le conseguenze. Regolati da solo». E da solo si regola anche sul campo. Lui, abituato da sempre a marcare a uomo, si
ritrova a dover imparare la zona. Il bello è che mister Liedholm non gli spiega nulla di come si debba muovere. Pietro chiede: «Ragazzi, scusate, cosa devo fare?». I compagni gli rispondono: «Tu guarda noi». È la svolta. Anni dopo, Pruzzo confiderà a Nicola Calzaretta, nel libro “Alla ricerca del calcio perduto”, «la vera mossa vincente di Liedholm, oltre a mettere il mancino Nela terzino destro, Maldera a sinistra e Di Bartolomei regista arretrato, fu piazzare Vierchowod al centro della difesa. Una pedina fondamentale. Marcava tutti lui da solo, era insuperabile». In quel magico anno 1982-83 gioca 30 partite in campionato, 5 in Coppa Italia, 6 in Uefa. Il debutto è in coppa, il 29 agosto 1982, gioca 90 minuti nello 0-0 in trasferta a Lecce. Il 12 settembre la prima in campionato, 3-1 a Cagliari, anche qui full-time; tre giorni dopo, primo gettone in Europa, 3-0 all’Ipswich. Liedholm non ci rinuncia. Pietro non segna mai, ma nemmeno fa segnare. E così a maggio si ritrova a Circo Massimo a festeggiare il secondo tricolore della storia giallorossa. «Io sinceramente non ho mai trovato un pubblico e un tifo così per una squadra – ricorderà anni dopo al Corriere dello Sport-Stadio -. Era amore vero e la città attendeva lo scudetto da quarant’anni. Quando successe, Roma si dimenticò dei problemi che aveva e impazzì. Era dipinta di giallorosso. Fu un’esperienza incredibile, dai monumenti alle strisce pedonali, non ho mai visto una roba simile».
SIMBOLO DORIANO - Una storia bellissima, ma breve. Pietro vorrebbe ancora legare il suo nome alla Roma, ma nel frattempo la ?Sampdoria è tornata in A. Mantovani coltiva ambizioni, in difesa serve una certezza come lo Zar. E la squadra c’è. Nel 1985, ’88 e ’89 i doriani conquistano tre Coppe Italia . È il momento del colpo grosso. I senatori come Vierchowod, Mancini e Vialli stringono un patto di ferro: nessuno se ne va via prima di aver vinto lo scudetto. A convincere i ragazzi è anche, anzi, soprattutto, il rapporto con Mantovani , un padre più che un presidente, e con l’allenatore, Vujadin Boskov, capace di gestire la forza mentale della sua squadra e di farla rendere sempre al meglio. Nel 1991 il sogno si avvera, la Samp conquista lo scudetto e l’anno dopo perde la Coppa dei Campioni solo dopo la punizione di Koeman al 120’. Vierchowod chiuderà alla Samp nel 1995, dopo 358 presenze in Serie A con la maglia blucerchiata.
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Rude, concreto, incollato all’uomo come solo la vecchia scuola difensiva italiana sapeva insegnare. Imperioso come uno zar. Ha attraversato il calcio italiano anni ’80 e ’90, quello “più bello del mondo”, ha marcato Maradona e Ronaldo, Van Basten e Batistuta, e ne è uscito il più delle volte vincitore. Dalla Serie D con la Romanese, dove iniziò nel 1975, all'ultimo campionato di Serie A col Piacenza nel 2000. Nel mezzo ha vestito le maglie di Como, Fiorentina, Roma, Sampdoria, Juventus, Perugia e Milan. Con i blucerchiati 12 stagioni impreziosite da uno scudetto, quattro Coppe Italia, Una supercoppa Italiana e una Coppa delle Coppe. Fu campione d'Italia anche con la Roma mentre con la Juve vinse la Champions League 1995-96. Appese gli scarpini al chiodo a 41 anni dopo una carriera fantastica. Oggi fa cifra tonda un grande del nostro calcio: facciamo gli auguri per i suoi 60 anni a Pietro Vierchowod, per tutti semplicemente lo “Zar”. #amodonostro#ilcuoio#happybirthday#zar#pietrovierchowod#vierchowod#6aprile#buoncompleanno#seriea#legend#football#story#ucsampdoria#samp#sampdoria#roma#asr#asroma#juve#juventus#azzurri#nazionale#photography#perugia#piacenza#como#milan#fiorentina#samproma#sampdoriaroma

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