I sinonimi di felicità sono tanti. In letteratura viene spesso utilizzato il termine “gaudio”: nel romanzo calcistico d’inizio millennio è stato sostituito da “Gaúcho”, un aggettivo che serve ad identificare gli abitanti della provincia brasiliana del Rio Grande do Sul. “Gaúcho”, però, nel calcio, è accostato a un solo nome: Ronaldo de Assis Moreira. Tutto questo stona. Forse è meglio dare prima un soprannome a questo ragazzo nato a Porto Alegre il 21 marzo del 1980. Sì, perché ovviamente gioca a calcio e a fine anni novanta c’è già un Ronaldo: unico, inimitabile, irraggiungibile. C'è di più: uno dei più famosi telecronisti brasiliani è solito chiamare Luiz Nazario da Lima “Ronaldinho”, ma quando Ronaldo de Assis Moreira segna il suo primo gol per la Seleçao, ecco che il commentatore aggiunge a “Ronaldinho” il termine “Gaúcho”: per distinguerlo dal fenomeno.
BATTESIMO. Basterebbe rivedere quella rete segnata al Venezuela il 30 giugno del 1999 (tenete a mente il giorno e il mese, non l’anno) per capire chi è Ronaldinho Gaúcho e per aggiungere sul vocabolario un altro sinonimo alla parola “felicità”: Cafu, strano a dirlo, accende il pendolino e corre sulla fascia. Mette dietro e arriva il ragazzo tutto denti e poco fisico: controllo di coscia. Neanche dà il tempo al pallone di girare in aria che lo manda sopra la testa del difensore col più classico dei sombreri. Fuori uno. Arriva l’altro avversario: appena la sfera tocca l’erba, la colpisce di controbalzo tra il tacco e l’esterno del piede destro. Fuori due. Il portiere copre il primo palo, ma il missile che parte finisce in rete: “Que beleza!”. Il ragazzo esplode in un sorriso a 32 denti, sporgenti come non mai: non riesce a stare fermo. Salta ruotando su se stesso e alzando il pugno al cielo: una, due, tre volte. L’allegria si legge su quel volto spensierato, gioioso, che ha appena deliziato il pubblico verdeoro. Da lì fino alla fine della carriera il sorriso stampato in faccia, sempre lo stesso piacere di accarezzare il pallone, come se fosse la prima volta. Un fanciullo che guarda le cose con stupore e che si meraviglia per ogni piccolo gesto, anche se è solo un controllo di palla, un sombrero o un tiro sul primo palo.
23 GOL E UN MONDIALE. La storia di Ronaldinho Gaúcho inizia tra una spiaggia brasiliana e i campi del Futsal. Alle elementari è già un fenomeno e un giorno, con i suoi compagni di classe, affronta degli avversari di livello inferiore, che giocano a calcio solo nelle ore di educazione fisica. La partita finisce 23 a 0: 23 gol di Ronaldo de Assis Moreira. Il nome inizia a circolare, ma in realtà il vero talento di casa è il fratello maggiore: Roberto, che finisce al Gremio nel 1987. Ronaldinho lo ammira e impara molto da lui: poi osserva ciò che fa Diego Armando Maradona con il pallone tra i piedi. Non tanto le magie in partita, quanto gli esercizi nel riscaldamento. È attratto magneticamente da quel modo di accarezzare la palla: docile e funambolico. El Pibe lo fa anche con le arance, ma la mamma di Ronaldinho, Dona Miguelina Elói Assis dos Santos, glielo vieta: non si spreca il cibo. Intanto il piccolo cresce ammirando Romario che porta sul tetto del mondo il Brasile nel 1994: è il momento in cui Ronaldinho decide di diventare calciatore. Rinuncia al Futsal e inizia a giocare a calcio a 11, l’anno dopo è nella Nazionale Under 15, ma è troppo forte: gioca con l’U-17 e vince il mondiale del ‘97. Quando arriva il 1998 Ronaldinho non segue più di tanto la Seleçao che crolla nella finale contro la Francia: già pensa a quello che potrebbe fare quattro anni più tardi, in Corea e Giappone, con la Nazionale maggiore.
L’EUROPA E IL MONDO. Ronaldinho aspetta quattro anni: intanto passa, tra le proteste del Gremio, al PSG e illumina le notti parigine con le sue indescrivibili magie. L’Europa ancora non lo conosce un granché, ma il Gaúcho diventa il re del Parco dei Principi partita dopo partita. Arriva il momento tanto atteso: il viaggio estivo verso l'Oriente. Non è una vacanza, è una missione. Il Brasile è nel Gruppo C. Il ragazzo riccioluto e dentone gioca un’ora contro la Turchia nella gara d’apertura: segna una rete su rigore nel 4-0 alla Cina e riposa contro il Costa Rica, in vista degli ottavi già conquistati. A lezione d’attacco dal Brasile: in cattedra salgono Ronaldinho, Rivaldo e Ronaldo. Un tridente che mette imbarazzo per quanto è forte. Per battere il Belgio però, non bastano gli assist del Gaúcho, la fantasia del numero 10 e la freddezza del fenomeno, servono anche i miracoli di Marcos. Ai quarti c’è l’Inghilterra: Owen porta la squadra di Eriksson in vantaggio, complice un grave errore di Lucio. Poi si accende il genio e si presenta al mondo Ronaldo de Assis Moreira, per tutti Ronaldinho. Percorre un corridoio per vie centrali, offre un doppio passo ad Ashley Cole e il difensore finisce ubriaco: allarga la palla per Rivaldo che piazza il sinistro all’angolino più lontano. Tutto di nuovo in parità. In apertura di ripresa una punizione. Lontana, troppo per calciare in porta. Seaman non è neanche così fuori dai pali: è al centro dell’area piccola. Si può segnare da quella posizione solo se sulla maglietta c’è stampato il nome Ronaldinho. Interno destro a giro. Non è un cross, non è un tiro: è un intervento chirurgico. Seaman fa un passo in avanti, senza alcun senso. La palla vola alta e si dirige sopra la traversa, poi spiove all’improvviso. Finisce al sette, dove qualche ragno sta tessendo la propria ragnatela. Si parla di una papera del portiere: probabilmente l’errore viene aggravato dal disperato e goffo tuffo in mezzo alla rete, ma in realtà il gol è una perla. Una delle tante della carriera, ma la prima a livello mondiale del Gaúcho. Passano sette minuti e arriva un cartellino rosso per Ronaldinho, esagerato, ma accettato dal numero 11 col solito sorriso sulle labbra. Salta la semifinale contro la Turchia: il Brasile passa grazie alla puntata di Ronaldo su Rustu e in finale torna il tridente delle meraviglie. Il fenomeno manda al manicomio Oliver Kahn con una doppietta e arriva il quinto titolo mondiale per la Seleçao. È il 30 giugno 2002: tre anni esatti dopo quel primo sorriso in verdeoro.
BARCELLONA E PALLONE D’ORO. Parigi sarà anche la capitale della moda, ma per Ronaldinho è un palcoscenico stretto. È praticamente tutto pronto per il suo passaggio al Manchester United, ma alla fine arriva il Barcellona. Il debutto al Camp Nou è irripetibile: contro il Siviglia si gioca un mercoledì d’inizio settembre alle ore 00:05, per permettere ai sudamericani di tornare in tempo per la pausa delle nazionali. Intorno all’una e mezza la notte s’illumina: Ronaldinho ha la palla tra i piedi nella sua metà campo e corre. Sfreccia e ne salta uno, poi un altro. Arriva ai 30 metri e parte il fulmine: traversa e gol. 85.000 persone s’innamorano a prima vista, Frank Rijkaard ha le mani tra i capelli e pensa “Ma chi mi hanno portato?”. Eh, chi gli hanno portato. Uno che danza sul prato verde: può confermarlo Ricardo Carvalho, che ancora sta cercando di capire quale balletto ha interpretato il Gaúcho a Stamford Bridge: Ronaldinho è fermo, al limite dell’area con quattro maglie del Chelsea attorno. Non tocca la palla: finta di calciare una, due volte, poi le dà un bacio d’esterno e quella finisce all’angolino, con Cech immobile e i tifosi Blues increduli. Nel biennio 2005-06 Ronaldinho è il calcio: non ci sono dubbi. Manda in analisi qualsiasi difensore della terra e anche i tifosi del Real Madrid, che per una volta non fischiano, bensì applaudono un giocatore del Barcellona che fa doppietta al Santiago Bernabeu. Vincere il Pallone d’Oro è un gioco da ragazzi per Ronaldinho, come colpire quattro traverse consecutivamente dal limite dell’area senza far mai cascare il pallone per terra. C’è chi dice che quel famoso spot della Nike fosse finzione, ma chiedetelo al Gaúcho. La risposta sarà sempre la stessa: “Ma quale finzione, lo faccio tutti i giorni sul campo che ho a casa!”. E, ovviamente, spuntano il sorriso e quei dentoni sporgenti.