Bruno e Bruno, due artisti del pallone

Stesso nome, Conti e Giordano hanno scritto la storia del derby della Capitale e fatto innamorare i tifosi di Roma e Lazio
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Cos’è un nome? Un nome è un’etichetta, un’associazione, una scorciatoia di pensiero. Non è una mano, non è un piede, diceva Shakespeare, non è niente di quel che forma un corpo. Certi nomi, però, riescono a prendere una vita propria. Nomi, cognomi, soprannomi. Pezzi di vita che diventano viaggio. Nomi come Bruno, che da soli, anche solo per derivazione etimologica, più che un’etichetta sembrano un ritratto. Una tela bianca da riempire di colori scuri e di contrasti. Un tappezziere di Trastevere, che di cognome fa Giordano, decide di chiamare così suo figlio. È affascinato dal filosofo eretico, gli piace l’idea di quell’abbinamento che fa pensare alla statua a Campo de’ Fiori, a una serata rinfrescata dal ponentino. Ma tanti, oggi, soprattutto se tifosi della Lazio, quando sentono le parole Bruno Giordano si perdono nella memoria dell’unico giocatore nel quale Johan Cruijff abbia mai detto di essersi davvero riconosciuto.

DEBUTTA GIORDANO - Esordì in Serie A il 5 ottobre 1975, Giordano, contro la Sampdoria. Uno 0-0 che si trascina stanco fino agli ultimi minuti, poi Chinaglia tira una palla in mezzo all’area, più per guadagnare tempo, un difensore respinge, Giordano è lì e calcia al volo. È istinto, quel che sembra velocità, è anticipazione, come diceva Cruijff. È un momento che si attacca ai ricordi, il suo primo gol in Serie A. È il primo giorno di gloria di «un moretto di Trastevere. Un romano autentico per modello, fisico, sfrontatezza», scrisse il Corriere dello Sport-Stadio. Giocava con la maglia numero 11, quella di Vincenzo D’Amico, ma farà meraviglie soprattutto con la 7 e con la 9.

L’ESORDIO DI CONTI - Quasi due anni prima, il 10 febbraio 1974, aveva debuttato in Serie A un altro di quei moretti non troppo diversi da Giordano per modello, fisico e sfrontatezza. Viene da Nettuno, però, non da Trastevere. Si chiama Bruno pure lui, è minuto pure lui, ha iniziato con la maglia numero 11 pure lui e continuerà con la 7. Solo che ha iniziato col baseball, è arrivato anche in Serie A. Lo chiamavano “glorioso”, ma non era un aggettivo, era un cognome: un omaggio incoraggiante a Giulio Glorioso, forse il più grande giocatore di baseball italiano di tutti i tempi. Non raggiunge le sue vette, però. Si dà al calcio, entra nella Roma. Il suo, di cognome, alla metà degli anni Settanta, genera già ricordi nostalgici nei tifosi giallorossi. Non per lui, ovviamente. Se allora dicevi Conti, il pensiero andava al portiere Paolo. Ma dal suo apparire, ancor più dal suo definitivo ritorno dopo due campionati al Genoa in B, nella Roma giallorossa Conti è “Marazico”. «Se fossi un CT di una qualunque nazionale del mondo, lo vorrei con me» disse una volta Bobby Charlton.

L’AMORE DI ROMA - Nella Roma che è l’anagramma dell’amor (che a nullo amato amar perdona), i due Bruno raccontano un’epoca. Hanno iniziato quando si giocava ancora per rabbia o per amore, Giordano tra i vicoli di Trastevere e poi all’oratorio di Don Francesco Pizzi. Conti, che come i Beatles viene scartato a diversi provini e vien da chiedersi perché, si destreggia nei tornei fra le squadre dei bar. Tonino Trebiciani, a lungo responsabile delle giovanili, intuisce il campione che c’è dietro quel talento sgusciante. Conti ha sempre giocato con il pallone “come fa un gatto con il gomitolo”, ha detto Gianni Brera. Ha continuato a farlo per 402 partite, con 47 gol, con la maglia della Roma.

LA DOMENICA A ROMA - Giordano è diventato uno dei più grandi attaccanti nella storia della Lazio: 108 gol segnati in 254 partite, per un idolo che non si è fatto mancare niente, dal carcere al matrimonio breve con Sabrina Minardi, che sarebbe diventata la donna del boss della banda della Magliana, Renatino De Pedis. “Una vita sulle montagne russe”, la sua, come Giancarlo Governi ha voluto titolare la biografia che gli ha dedicato. Classe ‘55 Conti, classe ‘56 Giordano, nati negli anni del boom, delle prime televisioni, con loro domenica era sempre domenica. “Si sveglia la città con le campane” cantava Mario Riva al Musichiere. Roma per anni si è svegliata, ogni domenica, anche con l’attesa dei gol di Giordano, dei numeri da circo equestre di Conti, che al Mundial di Spagna nel 1982 fa innamorare tutta Italia. Entrambi salutano la squadra del cuore col gusto un po’ amaro delle cose perdute. Conti in una gara di Coppa Uefa nel 1991, che sarà anche la sua ultima partita da calciatore ma in quel momento non lo sa nemmeno lui. Giordano, capocannoniere nel 1979, l’autore della doppietta decisiva per la salvezza nel 1984 al Pisa al rientro dalla frattura a una gamba, criticato da Chinaglia per aver rifiutato la Juventus, nel 1985 va al Napoli con Maradona. Il ragazzino preso per 30 mila lire e dieci palloni parte per 4 miliardi e 200 milioni. Lasciano, tutti e due, nel segno di uno stesso nome, una traccia di passione per il calcio, per la Roma e per la Lazio. E il ricordo di chi per anni ha fatto divertire.


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