Non possedeva il genio di un fantasista, ma vantava quell’attitudine da gregario tanto cara agli allenatori di ogni epoca. Gente “oscura”, che in campo non li vedi, non attirano le luci della ribalta, preferiscono sudare, mettersi a disposizione della squadra. Pierpaolo Manservisi è uno dei big di questa categoria, un “Uccellino” (come era soprannominato per il fisico esile) che metteva impegno e gamba qualunque maglia indossasse.
DAL CENTRO AL SUD. Classe 1944, Manservisi nasce a Castello d’Argile, nei dintorni di Bologna, ma il suo destino calcistico, almeno agli inizi, è legato alla Toscana. Cresce infatti nelle giovanili della Fiorentina, ed è in maglia viola che avviene il debutto in Serie A, il 31 maggio 1964 a Bari, nell’ultima giornata di campionato. Il ragazzino viene mandato a farsi le ossa in zona. Con Lucchese e Livorno ha modo di giocare, a Pisa esplode definitivamente, contribuendo in maniera determinante alla promozione in A dei toscani nel 1968. Sa giocare in attacco, a centrocampo, sulla fascia, puoi metterlo dappertutto, la sua versatilità può essere preziosa. E arriva così la chiamata del Napoli.
SOTTO IL VESUVIO. A Napoli ritrova mister Chiappella, proprio lui, che l’aveva fatto esordire quel giorno di maggio del ’64 a Bari con la Fiorentina. È il Napoli con Zoff in porta, capitan Juliano e la coppia Altafini-Hamrin in attacco, un Napoli che chiuderà tuttavia solamente sesto in classifica. Manservisi gioca 24 partite e segna 3 reti, di cui una alla Lazio, sua futura squadra. Il gol più importante viene però messo a segno la sera del 10 dicembre ’69. Il Napoli, dopo aver eliminato Metz e Stoccarda, affronta l’Ajax di Cruijff e del futuro napoletano Krol negli ottavi di Coppa delle Fiere. Gli olandesi “rivoluzionari” stanno per cambiare la storia del calcio con il Totaalvoetbal, ma quella sera, di “totale”, c’è solo la gioia dei tifosi partenopei, che esplodono alla rete di Manservisi, l’unica quella sera al San Paolo. Il Napoli verrà comunque rimontato ad Amsterdam nel match di ritorno e dirà addio alla Coppa, ma solo arrivederci a Manservisi.
LA COPPA DELLE ALPI. La Lazio lo acquista infatti nell’estate ’70 per 80 milioni più il cartellino di Ghio. In campionato gioca poco, solo 12 partite, mentre si toglie soddisfazioni in Coppa delle Alpi, dove gioca tutte le cinque gare che servono alla Lazio per battere Lugano, Winterthur e Basilea e aggiudicarsi il trofeo. Con 3 gol, di cui uno in finale, è tra i protagonisti dell’avventura europea. Dopo aver vinto il De Martino, con la retrocessione in B dei laziali, viene però rispedito in prestito al Napoli.
IL DUELLO. Nel 1971-72 gioca 19 partite in A con gli azzurri. Nel frattempo però la Lazio è tornata nella massima serie: Maestrelli sente di poter trarre vantaggio dalla disponibilità tattica del giocatore, lo fa rientrare in biancoceleste e lo schiera spesso e volentieri come ala tornante, più dedita alla fase difensiva che offensiva. Nel 1972-73 la Lazio, da neopromossa, lotta contro Juve e Milan per la conquista dello scudetto. A cinque gare dal termine, il 21 aprile la sfida chiave all’Olimpico contro il Milan di Rivera. Quest’ultimo toglie il sonno a Maestrelli: chi mettere a marcare il capocannoniere del campionato? In partitella Manservisi riesce ad annullare Chinaglia: il prescelto è lui. Manservisi lo ripaga con una prestazione sontuosa. Rivera trova il gol, ma per il resto del match è annullato dalle asfissianti “attenzioni” di Manservisi. La Lazio vince, ma concluderà terza in classifica. Per Manservisi, tuttavia, solo applausi.
SCUDETTO E ADDIO. Dopo aver sfiorato il tricolore nel 1973, la Lazio coronerà il suo sogno l’anno successivo. Manservisi non è coinvolto come la stagione appena conclusa: scende in campo le prime partite, proprio nel ruolo di ala cucitogli apposta da Maestrelli. In seguito, l’esplosione di Vincenzo D’Amico non può però lasciare indifferente il mister biancoceleste. Il giovane fantasista si prende così la maglia da titolare e fino a fine stagione Manservisi vede solo panchina o tribuna, raccogliendo solamente 4 presenze nell’anno in cui si laurea campione d’Italia per la prima e unica volta nella sua carriera. Decide così di dire addio alla Lazio, trasferendosi addirittura in Serie C, al Mantova. Con i biancorossi trova una giusta dimensione e disputa quasi 60 partite in due anni, prima di appendere le scarpette al chiodo nel 1976, a soli 32 anni.