Quattro giorni per farsi amare. Maurizio Iorio apre di testa la rimonta in Coppa Uefa contro il Colonia, l’8 dicembre 1982. È il gol che più gli è rimasto nel cuore del biennio alla Roma, prima del raddoppio di Falcao che scatena un boato raramente sentito all’Olimpico. Sono sempre loro due, in ordine inverso, a cancellare le illusioni dell’Inter la domenica successiva. È un 2-1 che certifica la superiorità atletica della Roma che, pur su un campo allentato, si conferma in testa alla classifica dopo dodici giornate. Liedholm ha plasmato Iorio come attaccante completo. Vuole che agisca più largo per far spazio a Pruzzo, che pure una settimana dopo quella vittoria sull’Inter farà giocare da ala destra, col numero 7, contro l’Avellino: finirà 1-1 e l’esperimento non si ripeterà mai più. Iorio, che si è fatto conoscere come centravanti d’area, in giallorosso rientra, copre le spalle a Maldera, svaria in tutte le zone del campo.
GLI INIZI. È innamorato di Rivera, quando lo vede arrivare a Milanello durante un provino con i rossoneri per poco non smette di giocare. Ma è un grande ex dell’Inter, Piero Colli, scudettato nel 1938, a dargli la prima grossa occasione nel 1975 al Vigevano: lo fa esordire in Serie C a sedici anni. L’impatto con Foggia, l’anno successivo, è duro, la solitudine lo porta a pensare di mollare tutto, ma l’anno successivo vince la sua battaglia. Ettore Puricelli gli offre il debutto in Serie A, contro il Torino. Dopo sei gol in 21 partite, passa proprio in granata, un ambiente più freddo in cui resta una stagione come riserva di Pulici e Graziani e paga inevitabili errori di gioventù. Va ad Ascoli, il tecnico “Gibi” Fabbri gli dice in allenamento che può diventare il nuovo Paolo Rossi, ma gli concede solo undici presenze in campionato.
SVOLTA A BARI. Il rischio di perdersi nel labirinto tra la giovanile ambizione e gli ostacoli del cuore sulla strada verso le grandi destinazioni, nonostante il quarto posto in A dell’Ascoli, aumenta. Iorio allora scende di categoria, accetta l’offerta del Bari e cambia tutto. Incontra il presidente Matarrese, con cui entra in sintonia subito, e un allenatore, Enrico Catuzzi, pronto a responsabilizzare i giovani e trattarli da uomini. Basta poco per la prima doppietta in biancorosso, e la partita non potrebbe essere migliore per farsi amare: in 90 secondi, Iorio ribalta il derby contro il Lecce del 21 settembre 1980 al “Della Vittoria”, che il Bari vince 3-2. Ne segna un’altra, nella gara di ritorno, negli ultimi nove minuti. Questione di feeling come quello con Dina, la compagna di una vita, che incontra proprio al termine della prima stagione a Bari.
TRA ROMA E VERONA. La seconda rappresenta la maturità: 31 reti fra campionato e Coppa Italia attirano l’interesse della Roma, ed è subito scudetto, la più intensa gioia di tutta la carriera. Ma nemmeno il sogno tricolore interrompe una carriera fatta di tanti viaggi e di qualche miraggio. Arrivano Graziani e Vincenzi, Iorio intuisce che non avrà grandi occasioni di giocare titolare e chiede di essere ceduto. Passa in comproprietà al Verona di Bagnoli, e fra i due è amore a prima vista. La città lascia il tempo della privacy, consente un respiro di vita che più lo rispecchia rispetto a Roma, stupenda e dispersiva, è riservata e meno calda. Ma qui, in un attacco di brevilinei con Giuseppe Galderisi, vive la sua miglior stagione in A. A fine stagione, dopo l’esperienza a Los Angeles con la nazionale olimpica, lascia i gialloblù che si avviano al primo scudetto e torna alla Roma che deve assorbire la sconfitta in finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. I compagni gli raccontano, gli trasmettono la tristezza per una delusione che non si dimentica. Il nuovo allenatore, Eriksson, gioca con Pruzzo punta unica e Iorio trova sempre meno spazio. Segna solo un gol in campionato, il rigore che apre il 2-1 alla Fiorentina alla nona giornata, e due in Coppa Italia, compreso il penalty che inaugura il 2-0 alla Lazio.
FINE CARRIERA. Inizia qui un declino che prosegue fino al 1993, tra Brescia, Fiorentina, Piacenza, dove ritrova Catuzzi ma finisce fuori rosa con il nuovo tecnico Perotti per motivi disciplinari con tre compagni, Verona, dove non riesce ad evitare la terza retrocessione della carriera, Inter. Chiude al Genoa, con l’effimera soddisfazione della rete che sblocca la semifinale di ritorno di Coppa Uefa contro l’Ajax nell’aprile del 1992. È il suo ultimo sogno, che dura appena otto minuti e svanisce nella scia del calcio champagne di Gigi Maifredi un anno più in là.