Gli anni d’oro di Harald Nielsen

L'attaccante danese, soprannominato "Dondolo", ha segnato 104 reti nel Bologna che "giocava come in Paradiso"
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Scriveva polizieschi per bambini, ha vinto uno scudetto da romanzo con tanto di giallo e di mistero. Harald Nielsen, per tutti “Dondolo”, il capocannoniere del Bologna dell’ultimo scudetto, ha unito e diviso la tifoseria che si scalda sotto i portici di una città che è una strana metropoli dai confini sfumati, una «vecchia signora dai fianchi un po’ molli» per dirla con Francesco Guccini.

I RICORDI. «Harald era un ragazzo particolare, legatissimo alla famiglia», ha raccontato Mirko Pavinato, alla morte di Nielsen, al sito del Bologna. Per un anno ha vissuto in Piazza della Pace con Romano Fogli, immagini e ricordi si affastellano a costruire il mosaico virato seppia di un attaccante che ama i silenzi, con un suo modo intimo, raccolto e nascosto, di emozionarsi. Un centravanti uomo-squadra, anche se in ritiro alle carte preferiva i libri, ma quando c’era da uscire a cena non si tirava mai indietro. L’intesa con Bulgarelli e Janich è totale. «Io e lui avevamo una sintonia innata legata allo stare assieme, ci accomunava lo stesso gusto nel mangiare e nel condividere un bicchiere di vino – ha raccontato il libero, uno dei simboli del Bologna che in rossoblù ha disputato 376 partite –. Quando giocavamo in trasferta all’estero non andavamo mai nei night club o nelle discoteche ma cercavamo sempre un buon ristorante, è proprio vero che la tavola unisce». 

L’ARRIVO A BOLOGNA. Sono i sette gol segnati a diciott’anni alle Olimpiadi di Roma a farlo conoscere in Italia. Nielsen, il bomber di Friedrickshaven, nello Jutland incastonato tra il Mar Baltico e il Mare del Nord, costa poco e promette molto. Al presidente Renato Dall’Ara lo segnala un altro danese, Axel Pilmark, il mediano destro che ha accompagnato la storia rossoblù per tutti gli anni Cinquanta (274 presenze in A e 4 in Coppa Italia tra il 1950 e il 1959). Nielsen, che allora è ancora dilettante, non ha bisogno di troppo tempo per accettare. L’allenatore, Fulvio Bernardini, al primo anno a Bologna, ha una visione di calcio fluido, offensivo. Mette gli uomini davanti agli schemi, premia il pensiero laterale: così ha costruito lo storico primo scudetto della Fiorentina nel 1956. Con Nielsen i caratteri si incontrano, le visioni meno perché il tecnico il primo anno spesso gli preferisce Vinicio, più esperto e più adatto ai meccanismi di gioco. Segna comunque otto gol, e non si fermerà più. 

LO SCUDETTO. I tifosi, che lo chiamano “Dondolo” per quel suo modo di caracollare in campo, lo vedono mettere a segno 19 gol nella stagione 1962-63, e diventare capocannoniere a pari merito con Pedro Manfredini. C’è anche la traccia di una sua tripletta nel 4-1 al Modena che farà scappare a Bernardini la frase diventata il manifesto di una squadra, di una stagione, non ripetibile: «Così si gioca solo in Paradiso». Ne farà due in più nella stagione dello scudetto, il campionato delle dieci vittorie consecutive, dal 24 novembre 1963 al 2 febbraio 1964, della fuga sull’Inter e dello scandalo doping che si sgonfia quando viene alla luce una palese, esagerata quanto goffa manomissione delle fiale. Il Bologna recupera i punti della vittoria contro il Torino, la partita “incriminata”, cancellati dopo l’iniziale verdetto di sconfitta a tavolino, e l’onore. Il resto è un capolavoro di Bernardini e Nielsen che segna il gol del 2-0 nello spareggio per il tricolore contro l’Inter. E proprio in nerazzurro andrà a giocare, alla fine di un percorso in 182 tappe, tante quante le presenze in rossoblù, accompagnate da 104 gol (81 in A, 1 nello spareggio scudetto, 3 in Coppa Italia, 1 in Coppa Campioni, 5 in Coppa delle Fiere, 13 in Mitropa Cup). Dondolo, che paga anche i rapporti sempre più freddi con Haller, lascia il Bologna nel 1967. Girovaga all’Inter, al Napoli, alla Sampdoria ancora con Bernardini. Ma non sarà mai più lo stesso.


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