Zdenek Zeman l’ha inserito nel suo tridente ideale insieme a Francesco Totti e Beppe Signori. È il pupillo di Sergio Cragnotti, un Alieno, questo il soprannome che ha cambiato il suo approccio al calcio e il destino della Lazio. Alen Boksic ha nel cuore tutto questo, e la rabbia per un infortunio lungo un anno, quando entra in campo per l’ultima mezz’ora della semifinale d’andata della semifinale di Coppa delle Coppe a Mosca, l’8 aprile 1999. La Lokomotiv è avanti, poi Stankovic incarta un regalo per Roberto Mancini che di tacco gli confeziona l’assist: l’Alieno non tradisce. Per anni l’hanno definito l’erede di Van Basten, anche se al Mancio ricorda più il Gullit del periodo alla Sampdoria, un giocatore capace di fare tutto e con classe. E tutti i torti non li ha. Boksic ha fisico, velocità, è forte di testa, calcia bene di destro e sinistro. Il gol diventerà la rete della qualificazione all’ultima finale nella storia della Coppa delle Coppe.
ALEN BOKSIC A MARSIGLIA. L’Europa l’ha già conosciuta, all’Olympique Marsiglia. Arriva nel 1991, ma i francesi hanno già raggiunto la quota massima di stranieri, così lo girano in prestito a Cannes ma il campo, per una serie infinita di infortuni, non lo vede praticamente mai. Nel 1992, però, cambia tutto. In quella squadra giocano Fabien Barthez, Didier Deschamps, Marcel Desailly, Basile Boli e un Rudi Voeller agli ultimi anni di carriera. «Ero giovane, ero pronto e lui non aveva più niente da dimostrare – ha detto qualche mese fa a “Vecernji pressing”, un programma di una tv croata –. Perciò non era così egoista e mi ha permesso di segnare molti gol, e questo mi ha aiutato tanto».
Partecipa con sei gol alla vittoria in Champions League, peraltro segnata da sospetti mai del tutto cancellati contro il Milan, ed è capocannoniere con 23 reti di un’edizione di Ligue 1 finita nel fango. È suo anche l’unico gol contro il Valenciennes, la partita dello scandalo che porterà all’arresto del presidente Bernard Tapie e alla squalifica di quattro giocatori perché il match è stato truccato. Il Marsiglia viene spogliato del titolo e retrocesso in seconda divisione, Boksic arriva alla Lazio per 15 miliardi di lire.
BOKSIC CON LAZIO E JUVENTUS. Debutta il 7 novembre 1993 a Napoli, poi segna un gran gol di testa che non evita la sconfitta in casa contro il Torino ma all’Olimpico contro la Juventus conquista tutti. Zoff lo schiera al centro dell’attacco con Signori e Gascoigne alle spalle, lui prende una traversa e poi in tuffo di testa apre la porta su un mondo nuovo. Inizia l’era Zeman l’anno successivo. Gli schemi lo esaltano, la tripletta nel 7-1 al Foggia, la sua prima in Italia, sembra l’inizio di un percorso splendido. Ma le ombre si addensano presto. Non condivide i metodi di allenamento del boemo. Non è possibile trattare tutti come se avessero lo stesso fisico, sostiene.
Il 14 marzo 1995, a Dortmund, il punto di non ritorno. Boksic lascia il campo per dieci minuti, e cosa sia successo non si è mai chiarito del tutto: un litigio con l’allenatore o un improvvisa pausa fisiologica? La verità ormai è scritta nel vento, quel che è certo è che la Lazio perde la qualificazione alla semifinale di Coppa Uefa all’ultimo minuto e la distanza fra Boksic e il boemo aumenta. Dopo le 11 reti segnate nella prima stagione zemaniana, il suo rendimento crolla: appena 4 reti in 26 partite. L’Alieno va così alla Juventus dove vince scudetto, Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale, ma dopo un anno torna. Cragnotti lo riporta alla Lazio, che intanto ha affidato a Sven-Goran Eriksson. Ha tenuto una casa all’Olgiata, annuncia il rientro insieme alla nascita del terzo figlio, Alen junior, nato a Roma come il fratello Antonio (la primogenita Stella, invece, è nata in Francia).
ALEN BOKSIC, L'ALIENO. Il benvenuto allo svedese è in tre reti in due turni di Coppa Italia, poi a quattro anni e due giorni dal suo esordio in biancoceleste si inventa uno slalom chiuso da un pallonetto impossibile contro la Sampdoria. Ferron, il portiere doriano, guarda, ammira e applaude. È devastante nel derby di Coppa Italia e di campionato, apre la strada ai quattro successi contro la Roma di Zeman che rimangono un caso unico nella storia delle sfide contro i giallorossi.
L’intesa con Vladimir Jugovic è il marchio di fabbrica della prima Lazio di Eriksson, che dopo la partenza di Signori lo responsabilizza, lo libera, lo esalta. Boksic è un padre di famiglia tranquillo a casa, in campo lo svedese si fida e gli lascia più libertà di manovra, ripagato bene a suon di gol. L’infortunio però gli rovina l’estate e lo lascia spettatore dell’impresa della Croazia semifinalista al Mondiale di Francia. L’ultimo anno alla Lazio lo vive quasi da separato in casa e non lo nasconde. Contro il Perugia si rifiuta di giocare perché, sbotta durante il riscaldamento, la maglia è troppo stretta. Tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto, verrebbe da dire. Gioca Ravanelli, protagonista nell’azione del gol-vittoria, che da perugino vive una giornata particolare.
Sarà proprio il Perugia a regalare alla Lazio lo scudetto, che tutta la squadra festeggia in quel 14 maggio rimasto come una data da non scordare fino all’alba. Quasi tutta la squadra, a dire il vero. Boksic a quella festa non c’è. Non scende in campo nemmeno a Birmingham nella finale di Coppa delle Coppe. Due trionfi senza gioia, che si uniscono alle due Coppe Italia, alle due Supercoppe italiane e alla Supercoppa Europea nella bacheca dei suoi anni in biancoceleste. Dopo 43 gol in 157 partite, accetta la scommessa inglese e va a giocare a Middlesbrough. Ma non è proprio un posto per un lupo di mare come l’Alieno che compra un’isola, Mariaska, e si diverte con la barca a vela e lo sci nautico. Ma quando tornerà in Italia un giocatore così?