Si è divertita la Lazio, incurante del diluvio dell’Olimpico e della fatica. Le pozzanghere non potevano fermarla e neppure i francesi del Nizza, apparsi di livello superiore rispetto alla Dinamo Kiev, non solo perché giocano in Ligue 1 e non vivono in guerra. Otto cambi rispetto a Torino senza calare di tensione o accusare cedimenti. Esisteva il rischio di adagiarsi e ricadere negli antichi difetti di continuità dopo tre trasferte di fila in sette giorni. Invece no. Quattro gol, due pali, la doppietta del Taty, l’arcobaleno di Pedro, la firma su rigore di Zaccagni: sotto la pioggia i biancocelesti si sono esaltati e hanno dominato, dando vita a un autentico show. Pensate se avessero vinto anche a Firenze, come meritavano, dieci giorni fa. Non era scontato imporsi in questa partita, mantenendo il passo in Europa League, e allora deve esserci un segreto non risolvibile soltanto attraverso le analisi calcistiche (buona preparazione estiva, semplificazione degli schemi) se Baroni continua a infilare un risultato dietro l’altro.
Lazio spettacolare in Europa League
La Lazio si diverte, sta bene in campo, segna gol a grappoli. Si porta dietro l’addestramento e la cultura del lavoro assorbita durante il triennio di Sarri, ha metabolizzato in fretta le idee del nuovo tecnico, bravissimo soprattutto a curarne l’aspetto mentale. Conta la testa. Mau, anche per delicate questioni personali, si era spento e non per caso era arrivato alla decisione sofferta delle dimissioni: non riusciva più a incidere. Baroni ha sollevato lo spogliatoio, peraltro rinnovato, da qualsiasi responsabilità. Ha chiesto coraggio ai suoi calciatori, meglio un attaccante in più e un centrocampista in meno (anche perché Lotito glielo aveva tolto cedendo Cataldi) e pazienza se qualcosa dietro si concede. La paura di sbagliare inibisce, non produce gioco, toglie sicurezze. Così ha riportato il sorriso, una ventata di aria fresca e di leggerezza all’interno di Formello. E’ come se la Lazio avesse riscoperto di colpo il gusto di divertirsi sul campo e di tentare la giocata, superando lo stesso teorema più volte evocato dal suo predecessore. «Se l’allenatore si diverte, si divertono i giocatori durante l’allenamento. E se la squadra si diverte, finisce per divertirsi anche il pubblico» raccontava spesso Sarri.
Baroni arma in più
Baroni ha raccolto l’opportunità di allenare la Lazio puntando sull’immediatezza del pensiero: passione, fame, motivazioni forti, credibilità con lo spogliatoio e le vecchie sane idee del calcio, mai passate di moda. Se in campo aveva giocato ad altissimo livello con la Roma e il Napoli di Maradona, in panchina non aveva mai potuto disporre di tanta qualità. Ieri, nella formazione di partenza, poteva contare su due mediani di livello internazionale come Vecino e Guendouzi oltre alle qualità di Castellanos e alla classe dell’eterno Pedro. Poi sono entrati Rovella, Zaccagni e Dia. Calcio verticale e sviluppato sulle corsie esterne, palleggio veloce e di qualità nonostante il campo pesantissimo. La squadra, senza un regista di ruolo, sembra davvero nata per giocare con il 4-4-2 come insegnava Sacchi. Due punte centrali. La Lazio di Mancini vent’anni fa si muoveva nello stesso modo o quasi. Claudio Lopez dietro a Corradi con gli stessi compiti di Dia. Cesar e Fiore, modello Zaccagni, sulle fasce. Le discese di Oddo sembravano quelle di Nuno Tavares, lasciato a riposo con il Nizza. Oggi come allora il comandamento era uno solo: divertirsi e segnare. Quella Lazio riuscì a piazzarsi al quarto posto, entrando in Champions. Non è giusto chiedere tanto a Baroni, ma è bello applaudire il suo lavoro.