Cristiano Ronaldo, la ricetta: puro, duro e solitario

Sporting, United, Real, Juventus, di nuovo United, Al-Nassr, Portogallo: solista sempre. Ma enorme. Con la ghigliottina dell’età pronta a calare su una carriera infinita
Roberto Beccantini
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L'Europa nazional-popolare di Cristiano Ronaldo compie vent’anni. La prima se la giocò in casa, nel 2004, stagione che sancì, per la storia, il debutto della saga tra Roger Federer e Rafa Nadal. Si consumò sul cemento di Miami, Florida: 6-3, 6-3 per il maiorchino. Fu pure la consacrazione di José Mourinho, il cui Porto, dopo aver eliminato il Manchester United di un Cristiano ancora imberbe, si sarebbe poi aggiudicato la Champions League: 3-0 al Monaco di Didier Deschamps.

Trentanovenne, si è nascosto in Arabia ma non è fuggito: né da noi, né dall’ego che lo ha fatto diventare uno dei più grandi del suo secolo breve, lo scalpello che ha conteso il regno al pennello di Leo Messi. Questa sera a Lipsia, ore 21, Portogallo-Repubblica Ceca. È la sesta fase finale alla quale partecipa, la sesta sulle diciassette che il calendario, dal 1960, ha offerto alla passione di molti e agli istinti sovranisti di troppi. Ne aveva appena 19, quando Otto Rehhagel, duce tedesco della Grecia, trasformò le Termopili in Arco di Trionfo e strappò lo scettro al suo Portogallo, battuto sia in partenza (2-1) sia al traguardo (1-0).

Ct dei lusitani era Luiz Felipe Scolari, fresco di Mondiale con il Brasile di Ronaldo e Ronaldinho, Rivaldo e Roberto Carlos. Cierre bazzicava all’ala, con Luis Figo, dietro a Pauleta, allattato dai biberon di Deco e Rui Costa. Piano piano, dalla periferia ha trasferito l’ufficio in centro, sferzando le convenzioni e le convinzioni. Era dall’epoca di Eusebio che il Paese di Fernando Pessoa e José Saramago («Una barca ferma non fa viaggio. Infatti, ma si prepara a farlo») non godeva di una simile carabina. Manuel Martins de Sà, raffinato corrispondente della “Gazzetta”, traduttore di Alberto Moravia in portoghese e di Pessoa in italiano, fu tra i più solleciti a scriverne.

Monumento ai record, è stato campione nel 2016, a Parigi, contro la Francia. E lo è stato a modo - e a fado - suo: speronato al ginocchio sinistro da Dimitri Payet già all’8’ e, dal 23’, crocefisso alla panca, megafono e confessore. Sino alla sventola di Ederzito António Macedo Lopes detto (per fortuna) Éder, originario della Guinea-Bissau, una riserva che il destino, all’improvviso, gratificò dell’occasione della vita. Come Mario Goetze e il suo gol-sentenza nell’epilogo del Mondiale 2014, Germania-Argentina 1-0 dts a Rio.

Michel Platini si ritirò a nemmeno 32 anni. L’altro Ronaldo, il Fenomeno, ha mollato a 35. Il Marziano resiste e insiste. L’ultimo ballo oscilla, per tradizione, fra l’orchestra del Titanic e la musica caciarona della band di Renzo Arbore. Toni Kroos, a 34, lo ha comunicato urbi “und” orbi e ne sta onorando la trama con una regia da Oscar. Luka Modric, che i 39 li festeggerà il 9 settembre, continua a imboccare, sfibrato, gli opliti della Croazia. Cristiano è la soluzione che le rughe, le cicatrici e l’arroganza rendono talvolta un problema. Sporting, United, Real, Juventus, di nuovo United, Al-Nassr, Portogallo: solista e solitario, sempre. Ma enorme. Con la ghigliottina dell’età pronta a calare su una carriera infinita. Classe 1985: che lotta.


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