Italia, dopo la figuraccia servirebbe buon senso

Il cielo è azzurro sopra il mojito: dopo la figuraccia europea, i giocatori della Nazionale si mostrano sui social
Italia, dopo la figuraccia servirebbe buon senso© LAPRESSE
Cristiano Gatti
4 min

Hanno capito al volo. D’altra parte, quando hai a che fare con gente sveglia e sensibile, non servono tante parole. Era il giorno dopo la memorabile umiliazione subita dalla Svizzera, al momento del rompete le righe in tanti - io per primo su questo glorioso giornale - avevamo chiesto, anzi no, nemmeno chiesto, diciamo sommessamente consigliato, il basso profilo e un doveroso di silenzio. Ridicolizzati sulla grande ribalta internazionale, pareva normale e adeguato che gli azzurri si defilassero per un paio di settimane, giusto il tempo di metabolizzare un po’ tutti la storica bancata. Non una questione di stato, non una pretesa da moralisti bacchettoni e trinariciuti: niente di così affettato, soltanto l’idea spontanea che in certi momenti sia meglio per tutti eclissarsi e sparire dalla circolazione. Non c’è come una sincera tristezza e una giusta vergogna per superare prima e voltare subito pagina. ?Nessuno dubitava, nel day-after, che almeno stavolta i nostri fenomeni dell’infantilismo edonista ci sarebbero arrivati da soli, sentendolo prima di tutto come un bisogno loro: via, lontani, in vacanza, non necessariamente flagellandosi la schiena come pellegrini alla Mecca, ma adeguatamente dissolti nel nulla, come cellule in sonno, smartphone spenti e social chiusi per ferie. Una questione di dignità, di rispetto, di responsabilità? Senza volerla fare così lunga, stiamo sul minimo sindacale: una elementare questione di opportunità. Che normalmente capirebbero anche i bambini delle elementari.
Difatti. Neanche il tempo di dirlo, e siamo già inondati del solito ciarpame estivo, come se l’Europeo nemmeno l’avessimo giocato, Europeo chi, Europeo cosa? Gente a Ibiza con il capello ritinteggiato alla polenta, gente con i tranci di carne fresca delle compagne generosamente esibiti in vetrina - d’altra parte le lei sono influencer e almeno gli ormoni devono influenzarli -, gente che in modo diverso tiene immancabilmente a farci sapere come la vita sia bella, l’estate rovente, la notte ruggente e il mojito ghiacciato a regola d’arte. Su col morale, ci mandano a dire con le loro cartoline esibizioniste: non è successo niente. E se qualcosa è successo, loro non se ne sono accorti.
Quanto meno, non si può dire che abbiano indossato le maschere pirandelliane per recitare la parte, in questo caso degli inconsolabili. Nessuno mai li potrà accusare d’essere ipocriti. Imperturbabili, non si spostano di una virgola, cascasse il mondo, capitasse pure di essere la peggiore Nazionale di tutti i tempi. Gli spagnoli buttano fuori i tedeschi e urlano Vamooos, i nostri saltano sui tavoli e Vamos alla playa.
Qualcuno potrebbe anche chiedersi come sia possibile che se non ci arrivano da soli, spontaneamente, a cogliere il disagio e l’imbarazzo della loro estate trullalera, come sia possibile che nei rispettivi staff - chi è che al giorno d’oggi non ha lo staff - non ci sia un mental coach, un motivatore, un magazziniere qualunque capace di far notare il contrasto. Niente, domande sceme. Lo staff lo scelgono sempre loro, su misura, a immagine e somiglianza, non è tanto facile che nel mazzo capiti uno fuori linea. La cosa più spassosa è che tutta la pletora dei consiglieri è lì per curare l’immagine, di questi tempi non sarai mai campione e personaggio se non curi l’immagine, tu pensa l’immagine costruita nell’ultima settimana. Neanche la Ferragni e i suoi genialoidi hanno lavorato così bene.
Io alzo le mani e mi arrendo. Non mi nascondo dietro a un dito (volendo io ci riesco, dietro a un dito ci sto a figura intera): ero tra quelli che avevano chiesto per una volta il silenzio, mi ritrovo crivellato di fotogossip dalle Isole dei Famosi. Come non detto. Non conto una sverza. Per consolarmi, tornerò a sfogliarmi le foto di altri tempi e di altri idoli, l’abbraccio in lacrime tra Vialli e Mancini a Londra 2021, Cannavaro con la coppa a Berlino 2006, prima fra tutte quella dell’urlo di Tardelli, Spagna ’82. Li chiamano segni dei tempi:

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