Lunedì scorso, a Lipsia, c’erano 30mila croati e meno di novemila italiani, una parte dei quali residente in Germania. Ora, calcolando che tutta la Croazia non arriva a 4 milioni di abitanti e che noi siamo prossimi ai 60 milioni, mi duole segnalare l’amara conclusione: siamo diventati un popolo di appassionati da delivery telecalcistico e, oltretutto, non abbiamo alcuna intenzione di alzarci dal divano, nemmeno se a imporcelo fosse Guido Meda. Ecco spiegato perché da noi lo spot di poltronesofà ha trovato terreno fertile. Immagino a questo punto che all’Olympiastadion di Berlino, sopra il quale diciotto anni fa il cielo era azzurro anche dopo la mezzanotte, la stragrande maggioranza dei tifosi sarà svizzera. E non è una bella cosa.
A proposito di belle cose. Quello che penso della Nazionale di Spalletti l’ho già detto e scritto tante volte, passando dall’ottimismo sfrenato a quello frenato. L’unica novità è rappresentata dall’atteggiamento tenuto dai nostri avversari: la formula «siamo la piccola Svizzera» (pallosa litania yakiniana), è stata sostituita da «sappiamo tutto dell’Italia, non ci fa paura». Sono sempre parole del tecnico turco-svizzero Yakin, che un tempo fu un bel giocatore. In sostanza, mentre noi scendevamo, loro salivano di un paio di piani anche grazie ai nostri dirigenti che nei quattro cantoni hanno fatto acquisti a decine. Sembra davvero dimenticato il 3-0 del 16 giugno 2021 quando una doppietta di Locatelli e un gol di Ciruzzo ci portarono agli ottavi dell’Europeo. In testa c’è rimasto soltanto il rigore sbagliato cinque mesi dopo da Jorginho, Sommer il portiere. Posso garantire - ho le prove - che questa Svizzera non è più forte della Croazia, è solo un po’ più fresca, tonica. Sommer e Ndoye, Aebischer e Freuler, Rodriguez e Okafor, Shaqiri e Zakaria, poi, li conosciamo bene. Così come non ci può sfuggire nulla di Xhaka, Akanji, Schär e Embolo, questi ultimi visti decine di volte ormai.
Sappiamo come giocano, come si muovono, cosa mangiano, cosa bevono, e come affrontarli: allora perché non pensare che gli azzurri possano finalmente regalarci una prova delle loro reali capacità? Chiediamo troppo? Non abbiamo di fronte il Real, né il City. E nemmeno la Spagna di Nico e Yamal. Il nostro uomo decisivo dovrà essere Federico Chiesa, verosimilmente opposto a Ricardo Rodriguez, e qui il derby della Mole non c’entra. Chiesa perché «Fede significa non voler sapere quel che è vero». Questa è di Nietzsche. Che era di Röcken, a due ore da Berlino, dove il cielo alle 18 di un sabato di fine giugno di solito è azzurro.