C ’è ancora chi si sorprende se a fine partita Spalletti si impermalosisce e s’incazza dopo aver ascoltato un giudizio sgradito o una domanda che provocatoria non voleva essere. Eppure basta conoscerlo, o averlo visto più volte in tv, per sapere che talvolta non risponde all’intervistatore, ma ad altri e su ciò che gli è stato riferito e con difficoltà s’era tenuto dentro. Dice a genero perché suocero intenda. E c’è chi ama sottolineare ripetutamente un aspetto del carattere di Luciano che non è mai riuscito a correggere e non vedo come possa farlo a 65 anni e perché dovrebbe: vede le ombre anche dove non ci sono, ha una spiccata propensione al controllo di uomini, situazioni, ambiente. Lui ti porta davanti alla sua natura in tutta la sua nudità. Spalletti è così da sempre, è ancora quello dei topini, dei cecchini su Trigoria, dei riportini e dei biscugini. È il veleno che confessa di iniettarsi.
Lunedì sera è passato dall’inferno al paradiso nel giro di pochi secondi: inevitabile che staccasse il piede dal freno e si lasciasse andare in discesa liberando istinto e insofferenza. C’è infine chi sostiene che l’ansia del tecnico stia contagiando gli azzurri. Possibile che condizioni qualcuno, il più fragile o il meno in forma, ma soprattutto che stimoli altri - un’autentica impresa il passaggio agli ottavi con una squadra con evidenti difetti di tecnica e personalità. Da quasi un anno Spalletti è dentro un vestito nuovo e un altro mondo: per chi, come lui, è cresciuto col mito della Nazionale, il fatto di poterla guidare all’Europeo rappresenta il punto più alto e coinvolgente della carriera. Mai stato spallettiano. Gli ho sempre riconosciuto straordinarie capacità di allenatore, ma anche un carattere non proprio facile, pieno di contorsioni emotive.
Immagino che non sia stato semplice reinventarsi selezionatore della Nazionale per un professionista che ha lavorato tutta la vita con i club cercando di creare un gruppo, modellandolo giorno dopo giorno e provando a entrare nella testa dei giocatori. Lui però ce la sta mettendo tutta, misurandosi con se stesso e dicendo anche cose che dovrebbe evitare. Ad esempio questa: «Il dominio di gioco della Spagna? Devi fare una squadra di corsa, che non palleggia, e dare il pallino in mano agli avversari. Non è un calcio che mi piace molto fare, mi rimane difficile insegnarlo, per fare quello sono la persona meno adatta». Fin troppo onesto ma spiazzante, detto da un ct. E a proposito dell’ipotetico patto con i giocatori: «Chi racconta le cose di spogliatoio fa male alla nazionale». Sempre rivolgendosi a chi aveva posto la domanda: «Quanti anni ha lei? 51? Io 65, le mancano ancora 14 anni di pippe per arrivare alla mia esperienza… Lei lo dice perché è quello che le hanno detto. Io ci parlo coi calciatori, qual è il problema?». Nella notte le scuse. Spalletti sembra talvolta delirante, invece è genuino, logico, perfino elementare: è l’originale. Quando si decide di prendere il pacco Luciano bisogna riuscire ad accollarselo per intero. Tenendo tutto il buono, che è tanto, ma anche il meno buono.