La magìa. Altrimenti nessuno amarebbe così tanto il calcio. Zaccagni come Baggio con la Nigeria nel ‘94 (il paragone sta nel momento, non nel giocatore, altrimenti sai le querele), la speranza di un ripescaggio e un piede già sulle scalette dell’aereo che avrebbe riportato la squadra a casa. Mogia. Triste. Battuta e abbattuta. Avremmo parlato di fallimento. E invece Zaccagni, l’ultima scelta di Spalletti, ci ha tirato giù dall’aereo e ha tolto alla Croazia anche la speranza di un ripescaggio fra le migliori terze. Non è stato un girone entusiasmante per noi, abbiamo rischiato fino all’ultimo secondo, però alla fine siamo arrivati dove volevamo arrivare. Finchè il ritmo è rimasto alla nostra portata, un ritmo deciso dalla Croazia per tutto il primo tempo, non abbiamo sofferto. La palla viaggiava a una velocità da centro cittadino e per noi andava bene così. Potevano tenersela (62 per cento di possesso all’intervallo) perché ci davano sempre il tempo di ripiegare senza perdere misure e distanze. Del resto la rivoluzione (ma potremmo chiamarla l’anti-rivoluzione) di Spalletti aveva questo scopo: riempire la nostra metà campo cosicché Modric e Kovacic non avessero spazio per far valere il proprio talento. Anti-rivoluzione perché, per il calcio che da sempre Spalletti ha in testa, per la sua concezione, questo è stato un passo indietro, dove la creatività, la spinta offensiva, la sfida aperta (come era malauguratamente capitato con la Spagna) ha lasciato spazio alla concretezza, alla compattezza, a una fase difensiva più coordinata. Ma dentro quella solidità dovevamo fare di più, creare di più, giocare di più.
Ci siamo accontentati o davvero non potevamo fare meglio? Dovevamo approfittarne quando la Croazia è stata buona e calma, perché poi era facile immaginare che tutto sarebbe cambiato. Eravamo partiti piano, con addosso l’inquietudine di una vigilia difficile dopo la sconfitta con la Spagna. Ci siamo sciolti minuto dopo minuto, fino a costruire la prima palla-gol della serata col colpo di testa di Bastoni. La Croazia si era presentata bene, con la sventola di Sucic, ma poi ha capito che, senza accelerazioni, non sarebbe stato facile metterci sotto. Si sono trovati di fronte un’altra Italia, la terza Italia di questo girone: non dominante come con l’Albania, non sottomessa come con la Spagna, ma solida e, col passare dei minuti, più sicura. Poi la scena è cambiata, noi siamo rimasti gli stessi, i croati no. Loro sono tornati quelli del Mondiale qatariota, noi ci siamo fermati.
Hanno cambiato il ritmo, aumentato la velocità, alzato l’intensità ed è bastato un cross per dare via al caos nella nostra area. Prima il rigore, e meno male che Donnarumma esiste, poi il gol. Di Modric, il giocatore più libero della Croazia, l’unico che invece doveva essere ingabbiato. L’Italia di Spalletti era rimasta a metà strada, aveva smarrito la compattezza e non aveva trovato la brillantezza. Non era più calcio liquido, ma calcio ibrido. A quel punto, quando non c’era più nulla da perdere, ecco il Miracolo Italiano, di cui siamo esperti. Abbiamo preso ad attaccare a testa bassa, spinto indietro la Croazia e creato qualcosa, fino al momento della magìa. Oggi amiamo il calcio un po’ di più.