Italia, Spalletti ha perso contro se stesso

Leggi il commento al momento della Nazionale e alle scelte di Spalletti
Alberto Polverosi

La Spagna non è la migliore nazionale dell’Europeo, è la migliore squadra di club dell’Europeo, almeno per quanto visto finora. E’ la fusione perfetta del talento individuale con la qualità collettiva. Sembrerà strano dopo aver ammirato a bocca aperta le giocate di Nico Williams, di Yamal e di Fabian Ruiz, ma nella Spagna tutti rinunciano a qualcosa per metterlo a disposizione del gruppo. Quello che non torna, che non va bene e che si fatica a spiegare non è la differenza tecnica fra l’Italia e lo squadrone di De la Fuente, era prevista. E’ l’eccessiva, esagerata differenza. A Gelsenkirchen c’era il tutto da una parte e il niente dall’altra. Lo dicono le cifre della partita ma meglio ancora la partita stessa. Una distanza del genere fra la nostra Nazionale e l’avversario non si trova nel passato. Forse la finale di Euro2012 (4-0 per la Spagna, lo stesso risultato di giovedì sera senza Donnarumma), ma in quel caso la differenza, oltre che tecnica, era anche fisica e atletica. Eravamo a pezzi. Allora, cosa è successo? E’ successo che Spalletti per la prima volta da quando allena la Nazionale si è trovato di fronte il Napoli di Spalletti. Per come gioca, palleggia, verticalizza, attacca sugli esterni, punta la difesa avversaria, accelera e rallenta, la Spagna ci ha ricordato due squadre di club, il Manchester City di Guardiola e il Napoli di Spalletti.

Lasciamo stare le differenti caratteristiche tecniche, prendiamo solo l’effetto finale: Kvaratskhelia di due campionati fa saltava l’uomo come ha fatto giovedì sera Nico Williams, con la stessa facilità e la stessa fantasia; Di Lorenzo, in quel Napoli, spingeva al massimo come Cucurella; Lobotka era il riferimento principale come Rodri, stessa lucidità, stesso pensiero, stesso senso della posizione; Zielinski ci metteva una qualità simile (non identica...) a quella di Fabian Ruiz; la difesa con Rrahmani e Kim risolveva ogni problema come hanno fatto Le Normand e Laporte, che in realtà di problemi ne hanno avuti ben pochi; Osimhen era imprendibile, sgusciava da tutte le parti, come in certi momenti (compreso quello dell’autogol) lo è stato Morata. Con grande onestà intellettuale, dopo la partita il ct ha detto che non conosce un calcio diverso da questo, il calcio della Spagna, il suo calcio.


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Ma perché la squadra che ora allena possa raggiungere quel livello e tornare a somigliare al suo Napoli, ci vogliono giocatori che lui non ha. E anche (o soprattutto) il tempo che non ha. Quando dalla panchina urlava “datela a Jorginho”, era un grido disperato: come facevano gli azzurri a dare la palla (quelle poche volte che riuscivano a prenderla) a chi non c’era? Jorg, come lo chiama il ct, aveva fatto una bella partita contro l’Albania ma nessuno lo marcava, la pressione spagnola lo ha tolto subito di scena. E come lui tutti gli altri, impauriti di fronte al calcio della Spagna come due campionati fa gli avversari (non tutti, ma tanti) si impaurivano di fronte al dominio del Napoli. Spalletti ha perso contro Spalletti. Però tocca sempre a lui trovare una soluzione. Le idee non gli sono mai mancate, il coraggio nemmeno, per questo è giusto ritrovare un po’ di ottimismo, di fiducia e di autostima prima di incrociare la Croazia. Che non è la Spagna...


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La Spagna non è la migliore nazionale dell’Europeo, è la migliore squadra di club dell’Europeo, almeno per quanto visto finora. E’ la fusione perfetta del talento individuale con la qualità collettiva. Sembrerà strano dopo aver ammirato a bocca aperta le giocate di Nico Williams, di Yamal e di Fabian Ruiz, ma nella Spagna tutti rinunciano a qualcosa per metterlo a disposizione del gruppo. Quello che non torna, che non va bene e che si fatica a spiegare non è la differenza tecnica fra l’Italia e lo squadrone di De la Fuente, era prevista. E’ l’eccessiva, esagerata differenza. A Gelsenkirchen c’era il tutto da una parte e il niente dall’altra. Lo dicono le cifre della partita ma meglio ancora la partita stessa. Una distanza del genere fra la nostra Nazionale e l’avversario non si trova nel passato. Forse la finale di Euro2012 (4-0 per la Spagna, lo stesso risultato di giovedì sera senza Donnarumma), ma in quel caso la differenza, oltre che tecnica, era anche fisica e atletica. Eravamo a pezzi. Allora, cosa è successo? E’ successo che Spalletti per la prima volta da quando allena la Nazionale si è trovato di fronte il Napoli di Spalletti. Per come gioca, palleggia, verticalizza, attacca sugli esterni, punta la difesa avversaria, accelera e rallenta, la Spagna ci ha ricordato due squadre di club, il Manchester City di Guardiola e il Napoli di Spalletti.

Lasciamo stare le differenti caratteristiche tecniche, prendiamo solo l’effetto finale: Kvaratskhelia di due campionati fa saltava l’uomo come ha fatto giovedì sera Nico Williams, con la stessa facilità e la stessa fantasia; Di Lorenzo, in quel Napoli, spingeva al massimo come Cucurella; Lobotka era il riferimento principale come Rodri, stessa lucidità, stesso pensiero, stesso senso della posizione; Zielinski ci metteva una qualità simile (non identica...) a quella di Fabian Ruiz; la difesa con Rrahmani e Kim risolveva ogni problema come hanno fatto Le Normand e Laporte, che in realtà di problemi ne hanno avuti ben pochi; Osimhen era imprendibile, sgusciava da tutte le parti, come in certi momenti (compreso quello dell’autogol) lo è stato Morata. Con grande onestà intellettuale, dopo la partita il ct ha detto che non conosce un calcio diverso da questo, il calcio della Spagna, il suo calcio.


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