Calzona, l'intervista esclusiva: "L'Italia ha un'anima"

I dodici anni con Sarri e uno con Spalletti, i tre mesi hot al Napoli e l’avventura slovacca. Il selezionatore più sorprendente dell’Europeo ci presenta la sfida alla Spagna
Ivan Zazzaroni

Quando gli ho inviato i complimenti per la vittoria sul Belgio di Lukaku, De Bruyne e Doku, ha risposto così: «Abbiamo un’anima, questo è ciò che conta». Per una dozzina di anni Francesco Calzona, per tutti Ciccio, è stato anima, l’anima tattica di Maurizio Sarri. Poi è passato a Di Francesco, infine si è concesso «il privilegio di osservare e assorbire Spalletti per un’intera stagione, la prima a Napoli», spiega. «Lui aveva il suo staff e io decisi di studiarlo, volli approfittare dell’occasione, la considerai un investimento». 

Aggredito da tre mesi senza senso al Napoli, Calzona merita un’attenzione speciale. Cinquantacinque anni, una figlia di sei («Giadina, è arrivata tardi»), dalla fine di agosto 2022 è il selezionatore della Slovacchia che ha portato alla fase finale degli Europei e allo straordinario successo sul Belgio di Lukaku, De Bruyne, Doku. Ricordo che quando gli fu offerto l’incarico di allenare la nazionale tecnici e ex giocatori slovacchi fecero il diavolo a quattro per impedire che l’ottenesse e la stampa pubblicò a lungo pagine di sospetta irritazione. Oggi Ciccio è una sorta di guida calcistica del Paese.

Francesco, se raggiungi gli ottavi la statua nella piazza principale di Bratislava è tua. 
«Lascia stare le statue, dobbiamo inconrare due avversarie che hanno l’obbligo di vincere per restare in corsa».

Domani l’Ucraina, certo. Ma, se permetti, veniamo prima noi. Che affrontiamo la Spagna con uno storico recente di 2 vittorie su 11. 
«Trovo che l’Italia non sia inferiore alla Spagna. Di questa Spagna che non ha il livello di quelle del passato». 

Stiamo riempiendo di responsabilità Spalletti. 
«Che mi ha fatto scoprire un sacco di cose nuove».

In particolare? 
«La sua gestione feroce della squadra e dell’ambiente».

Cosa intendi per feroce? 
«Lui non delega mai, tutto avviene sotto il suo controllo. Nulla gli sfugge. Ha una capacità unica di adattarsi a tutti gli ambienti e sa parlare alla squadra. Ma posso chiederti un favore?».

Anche due. 
«Non farmi parlare troppo di Spalletti e Sarri, l’ho fatto ripetutamente e mi sta venendo a noia. Lo dico con grande rispetto per entrambi, mi sembra d’essere leccaculo e non lo sono».

Non ho dubbi. Vogliamo approfondire il discorso su Spagna-Italia? 
«Io sposo per intero quello che dice Spalletti».

Ecco. Ci risiamo. 
«Intendo dire che l’Italia è una squadra che non si deve distrarre, non può permettersi cali d’attenzione. Si parla tanto del palleggio degli spagnoli, il palleggio è nella loro cultura, ma non è che a noi la palla scotti. Barella sa giocarla, Jorginho, Cristante e Pellegrini anche. Gli esterni pure e i due centrali Bastoni e Calafiori non hanno paura di trattarla. Per non parlare di Di Lorenzo e Dimarco. Chi può garantire che, se abbiamo la palla noi, ce la portino via? Abbiamo qualità, l’uno contro uno, sappiamo giocare nello stretto».


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Francesco, perdonami se torno a Napoli: il disorientamento di un gruppo gestito “ferocemente” si è avvertito non appena Spalletti se n’è andato. 
«Quando sono arrivato io erano già trascorsi sette mesi e mezzo, con i risultati che sappiamo. Ho detto e ripetuto di aver incontrato difficoltà e problemi che non mi aspettavo di trovare. Sai qual è stata la cosa che ha creato i danni peggiori?»

Quale? 
«L’obbligo di dover inseguire costantemente la vittoria, per via della classifica in gran parte compromessa, ha messo in crisi il gruppo. Ti porto l’esempio dell’1-1 di San Siro con l’Inter. Loro venivano da quindici successi di fila, giocammo una partita molto più che decorosa eppure quel pari fu vissuto dall’ambiente con una delusione sconcertante. Eravamo costretti a vincere e non avevamo una condizione mentale all’altezza del compito. In alcune occasioni abbiamo anche giocato un buon calcio, ma il buon calcio non bastava, servivano i tre punti. Non si dava più valore a nulla. E non è tutto . Il 95% delle cose che venivano scritte o raccontate in tv da giornalisti perbene e ben vestiti...». (Lo interrompo). 

Quando parli così mi ricordi Sarri. Dubito che la stampa abbia inciso pesantemente sui risultati. 
«Non ho detto questo. La quasi totalità dei conflitti e dei disagi che venivano riportati da Castel Volturno però non si verificò. Barzellette».

Ma se tanto tu quanto Mazzarri spiegaste che numerosi giocatori non vedevano l’ora di andarsene e che la situazione era insostenibile... Una realtà confermata peraltro dalle notizie delle ultime settimane. 
«È un discorso diverso».

Kvara, ad esempio.  
«Avevo pochissimo tempo a disposizione e urgenze di squadra e classifica, non mi sono potuto occupare dei problemi personali di questo o quel giocatore».

Allora descrivimelo tecnicamente. Cosa gli manca per diventare un top player? 
«Lo state vedendo anche in questi Europei, tanti giocatori di qualità hanno una partecipazione attiva e sistematica alla fase di non possesso. Kvara solo occasionalmente. E poi deve imparare a sparare meglio le sue cartucce nei trenta metri e a risultare più produttivo a centrocampo. Se riuscirà a correggere questi tre punti vincerà il Pallone d’oro, ne sono certo».

L’esperienza di Napoli ti ha tolto qualcosa? 
«Se l’arco temporale è da giugno a giugno posso solo ritenermi più che soddisfatto. Ad ogni modo non ho intenzione di allenare fino a 70 anni».

Dite tutti così. 
«Sto troppo poco con mia figlia e mi piacerebbe vederla crescere. Non ho l’ambizione di diventare milionario, mi basta quello che ho... Giada è pazza del Napoli e della Slovacchia».

Quanti dolori le hai procurato in quei tre mesi... 
«Mi domandava spesso perché non vincevamo, la risposta la tenevo per me, non le racconto favole».

Conte è l’uomo giusto? 
«Io sono l’uomo del passato».

Temi anche tu che possa scontrarsi con De Laurentiis? 
«Guarda che con me il presidente ha tenuto un comprtamento esemplare. Faceva domande, si informava, mai un’ingerenza però, prima di incontrare la squadra chiedeva il permesso. Subito dopo spiegava di cosa aveva parlato».

Anche per Calzona, podemos. 


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Quando gli ho inviato i complimenti per la vittoria sul Belgio di Lukaku, De Bruyne e Doku, ha risposto così: «Abbiamo un’anima, questo è ciò che conta». Per una dozzina di anni Francesco Calzona, per tutti Ciccio, è stato anima, l’anima tattica di Maurizio Sarri. Poi è passato a Di Francesco, infine si è concesso «il privilegio di osservare e assorbire Spalletti per un’intera stagione, la prima a Napoli», spiega. «Lui aveva il suo staff e io decisi di studiarlo, volli approfittare dell’occasione, la considerai un investimento». 

Aggredito da tre mesi senza senso al Napoli, Calzona merita un’attenzione speciale. Cinquantacinque anni, una figlia di sei («Giadina, è arrivata tardi»), dalla fine di agosto 2022 è il selezionatore della Slovacchia che ha portato alla fase finale degli Europei e allo straordinario successo sul Belgio di Lukaku, De Bruyne, Doku. Ricordo che quando gli fu offerto l’incarico di allenare la nazionale tecnici e ex giocatori slovacchi fecero il diavolo a quattro per impedire che l’ottenesse e la stampa pubblicò a lungo pagine di sospetta irritazione. Oggi Ciccio è una sorta di guida calcistica del Paese.

Francesco, se raggiungi gli ottavi la statua nella piazza principale di Bratislava è tua. 
«Lascia stare le statue, dobbiamo inconrare due avversarie che hanno l’obbligo di vincere per restare in corsa».

Domani l’Ucraina, certo. Ma, se permetti, veniamo prima noi. Che affrontiamo la Spagna con uno storico recente di 2 vittorie su 11. 
«Trovo che l’Italia non sia inferiore alla Spagna. Di questa Spagna che non ha il livello di quelle del passato». 

Stiamo riempiendo di responsabilità Spalletti. 
«Che mi ha fatto scoprire un sacco di cose nuove».

In particolare? 
«La sua gestione feroce della squadra e dell’ambiente».

Cosa intendi per feroce? 
«Lui non delega mai, tutto avviene sotto il suo controllo. Nulla gli sfugge. Ha una capacità unica di adattarsi a tutti gli ambienti e sa parlare alla squadra. Ma posso chiederti un favore?».

Anche due. 
«Non farmi parlare troppo di Spalletti e Sarri, l’ho fatto ripetutamente e mi sta venendo a noia. Lo dico con grande rispetto per entrambi, mi sembra d’essere leccaculo e non lo sono».

Non ho dubbi. Vogliamo approfondire il discorso su Spagna-Italia? 
«Io sposo per intero quello che dice Spalletti».

Ecco. Ci risiamo. 
«Intendo dire che l’Italia è una squadra che non si deve distrarre, non può permettersi cali d’attenzione. Si parla tanto del palleggio degli spagnoli, il palleggio è nella loro cultura, ma non è che a noi la palla scotti. Barella sa giocarla, Jorginho, Cristante e Pellegrini anche. Gli esterni pure e i due centrali Bastoni e Calafiori non hanno paura di trattarla. Per non parlare di Di Lorenzo e Dimarco. Chi può garantire che, se abbiamo la palla noi, ce la portino via? Abbiamo qualità, l’uno contro uno, sappiamo giocare nello stretto».


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