Da Platini a Mbappé, le storie del falso 10

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Da Platini a Mbappé, le storie del falso 10© ANSA
Roberto Beccantini
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In vista di Francia-Polonia (oggi, ore 18) dall’archivio sfrigola Francia-Portogallo 3-2 del 23 giugno 1984. C’entra poco, se non che con Michel Platini sullo sfondo tutto si tiene. E, di conseguenza, tutto c’entra. Venerdì scorso ha compiuto 69 anni. «Sono nato nel calcio e morirò nel calcio». Ma torniamo all’84, a Marsiglia, ai brividi di quella semifinale. L’11 giugno si spegneva, a Padova, Enrico Berlinguer. Il 30 maggio, all’Olimpico, i rigori avevano dirottato la Coppa dei Campioni dalla Roma al Liverpool, dopo l’1-1 dei supplementari. Usciva, in Francia, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera.

Ecco. La leggerezza. Lo stile di Michel cominciava da lì. E si allargava, elegante, ai nove squilli in cinque partite dell’unico Europeo della storia stravinto “ad personam”. Nove o otto e mezzo, dal momento che ballava la carambola del danese Soren Busk: con il Var, rete e basta; all’epoca, col cavolo. Alcuni gliela attribuirono comunque: nella speranza, ruffiana, di ricavarci un’esclusiva. Allora: il tiro, fetente, che sgonfiò i nipotoni di Amleto - «we are red, we are white, we are danish dynamite»: siamo rossi, siamo bianchi, siamo la dinamite danese - i tre al Belgio, i tre alla Jugoslavia e, prima della punizione più loffia della carriera - che pure, nella finale del Parco dei Principi con la Spagna, avrebbe sedotto la pancia di Luis Arconada - il filmone thrilling del Vélodrome.

Ricapitolando: apre Jean-François Domergue, un terzino. Pareggia Rui Jordao, il centravanti. Supplementari. Di nuovo Jordao. Panico. Di nuovo Domergue. Sgoccioli degli sgoccioli, Jean Tigana strappa e crossa, Platini è in agguato nel Bronx dell’area, pronto alla pugnalata fatale. Mentre il popolo sambeggia e folleggia, i duellanti guadagnano faticosamente il centro del campo, chi sopra le nuvole chi sotto i tacchi. L’arbitro, dimenticavo, è Paolo Bergamo. Affianca per caso Michel e gli sussurra: «Negli spogliatoi mi dai poi la maglia, ok?». Risposta: «Solo se fischi subito». Era il 120’ circa. Secondo voi, fischiò o non fischiò? Certo che oui. Me la raccontò Enzo D’Orsi, grande giornalista.
Il 1984 di “le Roi” (scudetto e Coppa delle Coppe con la Juventus, campionato d’Europa con la Nazionale, Pallone d’oro). Il 1984 di George Orwell: «Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato». Il 1984 di Diego Maradona a Napoli. E dell’Olimpiade di Los Angeles. A proposito di effetto traino, la Francia concesse il bis. Una squadra diversa, però. Non l’amazzone dell’euro-cavalcata, il cui quadrilatero recitava: Tigana, Alain Giresse, Luis Fernandez, Platini. Voto? In Germania, a 40 anni di distanza, crepitano gli autogol, segnano abbastanza i trequartisti o sedicenti tali, e poco, molto poco, i “nove” di fatto. Sinora, almeno. Platini era di un altro pianeta, ma i suoi “bleus” già scortavano e covavano le tendenze al ricamo. Da Austria e Olanda, in compenso, Didier Deschamps non ha estratto che la miseria di un autogollonzo. Corto muso in francese si dice “museau court”. Aspettando che Kylian Mbappé getti la maschera. Lui sì, “falso dieci”.


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