Ieri sera Dio era italiano. Non ho mai dimenticato quella che nel meraviglioso e infinito romanzo del calcio si trova alla voce “citazioni storiche”. L’autore, Hristo Stoichkov che a Usa 94, giusto alla vigilia di Italia-Bulgaria, se ne uscì così: «Dio è bulgaro, ma io lo sapevo già».
Il cielo stavolta ha aiutato noi. Perché hanno giocato meglio gli altri: abbiamo incontrato la Spagna più Spagna di questo Europeo, neppure lontana parente di quella che aveva patito le pene dell’inferno con la Croazia e la Svizzera. Ci ha messo sotto per tre tempi su quattro, solo nell’ultimo supplementare abbiamo reagito più di nervi e orgoglio che di gambe. Per la prima volta dall’11 giugno non siamo riusciti a fare la nostra partita, ma quella degli avversari. A un certo punto siamo sembrati stanchi, mentalmente sfiniti (non tutti, Chiellini l’eccezione). Anche chi è subentrato ha aggiunto poco, giusto Berardi ha tentato qualcosa di buono e di diverso. I rischi che abbiamo corso non li abbiamo contati.
Siamo onesti, così facciamo contenti i commentatori inglesi: avrebbe meritato la Spagna, ma in finale andiamo noi. Noi che di questo torneo siamo i protagonisti assoluti, i più continui, ma anche i più sorprendenti.
Una gioia incontenibile. Difficile da raccontare, esplosiva,coinvolgente, una trasmissione di immagini, suoni e sentimenti positivi. All’ultimo rigore, quello realizzato da Jorginho, ho immaginato Spinazzola che - urlando di gioia - lanciava in aria le stampelle.
Un gioco di errori e continue correzioni da parte degli allenatori, questa semifinale. Ha cominciato Luis Enrique escludendo inizialmente Morata per il centrocampista in più, Oyarzabal. Una scelta che ha pagato solo sul piano del controllo del gioco. Il gol di Chiesa ha però costretto lo spagnolo a inserire non una ma due punte, Morata e Gerard Moreno. A quel punto è stato Mancini a togliere Immobile per Berardi, chiedendo a Insigne di accentrarsi. Dopo il pari di Morata, altro aggiustamento del Mancio con l’ingresso di Belotti e Locatelli. E insomma è stata una partita più tattica che tecnica, anche se il gioco a un tocco, rapido e precisissimo, degli spagnoli ha messo in notevole difficoltà tanto Jorginho quanto Verratti: il più sfasato, Barella.
In tre anni siamo passati dall’umiliante esclusione dei Mondiali alla finale degli Europei. Non possiamo non considerarlo un miracolo sportivo, soprattutto se si pensa che Mancini non ha potuto lavorare a lungo con la squadra. Partiti tra mille diffidenze e incertezze - l’unico a crederci, proprio il ct che ha inevitabilmente contagiato il suo gruppo di lavoro -, ci siamo ritrovati una Nazionale piena di sostanza, capace di divertire, ma anche di lottare.