Cosa c’entra l’Italia di Mancini con questo nostro calcio ansimante? Nulla: perché, a differenza di chi governa i club, è organizzata, fa sistema, trasmette allegria, gioca una sola partita, la sua. Unico è naturalmente il traguardo. Come può, questa Italia, essere l’espressione di un’organizzazione che anche ieri ha confermato la propria disunità e di giocare più partite - una diversa dall’altra - avendo obiettivi individuali?
Mentre Mancini e Chiellini ripetevano che non avrebbero cambiato nulla del loro di modo di fare calcio, la Lega dei club che casualmente innervano la Nazionale litigava di nuovo. Sullo spezzatino televisivo, sui dieci slot, ovvero le partite di ogni singolo turno programmate in dieci orari differenti. Alla fine i dirigenti - venti, qualche titolare e troppe riserve che si considerano intoccabili - non hanno votato la soluzione gradita a Dazn e si sono affidati a un comunicato col quale minacciano di non far partire il campionato se Draghi non garantirà la riapertura totale degli stadi ai vaccinati, una decisione che al momento il capo dell’esecutivo non può prendere.
Non vogliono capire, i signori della A ricchi di debiti e poveri di idee e avvedutezza, che la gente avrebbe voglia di riavvicinarsi al calcio, ma non alla sua versione fastidiosa, soffocante, insopportabile. Quella che viene servita da anni.
Il messaggio che la Nazionale sta inviando è il più semplice ed efficace: solo il ritorno al divertimento, alla leggerezza e alla lealtà - nella concorrenza - può garantire un futuro di nuove ricchezze e grandi numeri.
Per questo è fin troppo facile tifare per gli azzurri che sono arrivati dove dovevano arrivare: ai quarti di finale di un Europeo che ha procurato solo dolori al Portogallo di Ronaldo, Diogo Jota e Joao Felix, alla Germania di Gnabry, Thomas Muller, Goretzka, Sané, Haverts e Werner, all’Olanda di De Ligt, de Jong, Wijnaldum e soprattutto alla Francia di Mbappé, Pogba, Kanté, Benzema e Griezmann. La semifinale, per i nostri, sarebbe un risultato strepitoso, e non mi spingo oltre. Per ora.
Metabolizzata la selezione cruenta e innaturale di Euro2020, segnalo che secondo Gracenote, la società di Nielsen Holdings che fornisce metadati musicali e sportivi e tecnologie di riconoscimento automatico dei contenuti a società e servizi di intrattenimento in tutto il mondo (respiro e riparto); secondo Gracenote, dicevo, la favorita di questo Europeo è diventata l’Inghilterra con il 26,5%, percentuale sulla quale incide notevolmente il fatto di poter giocare a Londra i due turni finali (singolare che anche le prime quattro gare le abbia disputate nello stadio di casa). Il Belgio viene subito dopo con il 24%: prima della sfida col Portogallo era a 15. L’Italia di Mancini ha il 12,5% di possibilità, come la Spagna. Al quinto posto c’è la Danimarca con il 10,3, seguita da Svizzera (5,6), Repubblica Ceca (4,6) e Ucraina (3,9).
Ho rifatto i conti tre volte e il totale ha sempre dato 99,9. Lo 0,1 per cento non attribuito lo consegno idealmente proprio a Mancini, giunto al momento della verità, e lo scrivo con tutto l’amore e la gratitudine che provo per questa Nazionale e l’apprezzamento nei confronti di Roberto e del suo distacco dalle cose “terrene”: ieri sera non sapeva nemmeno chi fosse l‘arbitro designato da Rosetti.
Oggi sapremo quanto valiamo sul piano della personalità e della solidità: un’opinione (positiva) sulla caratura tecnica e sulla freschezza della squadra ce l’abbiamo già e ci fa piacere constatare di essere più avanti di altre importanti nazionali assai prossime al fine-corsa. Il Belgio è una di queste. Da anni si regge su Courtois, 29 anni, Alderweireld, 32, Vermaelen, 35, Vertonghen, 34, Witsel, 32, Eden Hazard, 30, Lukaku, 28, Mertens, 34. Il ranking Fifa lo premia col primo posto, nonostante non abbia mai vinto una mazza: è un’eterna promessa che tuttavia ha l’occasione di realizzarsi compiutamente. Ho tenuto fuori dalla lista Kevin De Bruyne, trent’anni il 28 giugno, perché merita un discorso a parte: lo considero il più completo centrocampista europeo, ma esce da una stagione molto impegnativa nella quale i problemi fisici si sono ripetuti fino a condizionarne il rendimento nell’ultima parte. Mancini se lo aspetta in campo, e giustamente lo teme: anche a mezzo servizio De Bruyne è in grado di farci male.
Ma non può essere un uomo solo, ancorché campione, a mettere in ginocchio una squadra come l’Italia che ha offerto alla critica un solo momento di disagio, con l’Austria, paradossalmente per prendere le misure a se stessa, preoccupata dell’unanime e a volte sospetto consenso. Infatti, a parte le percentuali “scientifiche” di Gracenote, esiste una verità incontestabile: solo due squadre risultano calcisticamente divertenti, la Svizzera perché ha trombato la Francia e l’Italia perché gioca a pallone.