Il momento storico è quello giusto. L’economico, di più. Le casse della serie A fanno l’eco ormai (il colpo di grazia l’ha dato la pandemia) e gli spogliatoi sono pieni come un uovo: ci sono club con una cinquantina di giocatori sotto contratto eppure gli allenatori preferiscono lavorare sempre con 26, massimo 27 elementi (due per ruolo più un’integrazione per settore). Ogni volta che domando a un dirigente quanti acquisti ha intenzione di fare da qui a fine agosto, mi sento rispondere «prima cediamo e poi, eventualmente, compriamo. Gli intoccabili? Ma quali intoccabili! Dobbiamo aggiustare i conti, liberandoci degli stipendi, specie di quelli più alti». Nell’estate 2021 sarebbero disposti a vendere anche i pali delle porte pur di favorire la sostenibilità finanziaria che prevale, per forza, sulla competitività.
L’età media delle nostre squadre è tra le più elevate d’Europa e oltre il 60% dei calciatori impegnati nel campionato appena concluso era straniero. Anche se avesse voluto, Mancini non avrebbe potuto affidarsi a un blocco: nelle prime due brillantissime uscite all’Olimpico ha presentato giocatori – segnalo le presenze, anche se non dal primo minuto – di Juve (4), Sassuolo, Lazio, Roma, Atalanta e Napoli (due a testa), Milan, Inter e Toro (1), oltre a Florenzi del Psg e Jorginho del Chelsea.
Esaurita la lunga premessa, vengo al punto: stiamo scoprendo che si può vincere in Europa e ci si può entusiasmare in Italia anche con le quote neroverdi del nostro calcio: e pensare che Locatelli, abbandonato giovanissimo dal Milan, sembrava perduto, mentre Berardi, insofferente alle novità, rifiutò di trasferirsi alla Juve, alla Roma e alla Fiorentina per restare nella sua comfort zone.
Mancini, lo ripeto spesso, possiede una qualità non comune: arriva alla sostanza del giocatore, gli dà fiducia e difende con ostinazione le sue scelte, anche le più scomode. Si arrende solo all’evidenza. Anche per questo Berardi ha messo a sedere il miglior Chiesa, Spinazzola è davanti a Emerson e Locatelli rischia di rubare il posto a Verratti.
Le idee, i giovani di qualità e quel tanto di insistenza necessaria per farli crescere e maturare, soprattutto quando è necessario cambiare direzione perché vengono a mancare le condizioni per puntare sulle spese folli o per risolverla con le sole plusvalenze, truffe legalizzate mascherate da fi nanza creativa: questa la strada. Questo il momento di percorrere “la via Loca” indicata dal ct. Mancini è uomo di mondo, esperto in comunicazione, tant’è che la sua regione, le Marche, gli fa reclamizzare mare, cielo, colline, arte e storia come un tempo chiedeva a Dustin Hoffman – e il suo calcio interpretato da questa Italia “regionale” cattura la gente. Non solo quella “che piace” , spesso richiamata dalla Bella Vittoria, ma anche gli intenditori per anni frastornati dalla fuff a tattica di alcuni opinionisti, ora essaltati dall’identità altamente tecnica degli azzurri. I cantori del tempo che fu oggi sarebbero tutti Omero. Tuttavia con vista acuta allietata dal gioco che si è fatto di nuovo gioco. Non chiacchiera.