Non siamo forti e esperti come i francesi, né come i tedeschi, costretti dentro un girone impossibile. Non siamo potenti come i belgi, non abbiamo Lukaku, né Ronaldo, né Kane. Ma abbiamo raggiunto gli ottavi con due partite, segnando sei gol senza subirne alcuno: a dire il vero, in quasi centonovanta minuti Donnarumma ha compiuto due soli interventi, perdippiù nella stessa azione. Contro la Svizzera ha realizzato una doppietta Locatelli, il sostituto di Verratti, considerato il nostro primo o secondo faro - l’altro è Jorginho. In alcuni momenti Berardi sembra Robben e poi Immobile non sbaglia un colpo. Infine Bonucci è in ottime condizioni. Eppure ci ripetono da giorni che non dovremmo esaltarci troppo. “C’è intorno all’Italia un entusiasmo facile e un po’ vigliacco”, ha scritto ieri il bravissimo Sconcerti, “dare tanta fiducia a una Nazionale significa spesso abbandonarla alla prossima sconfitta”. “L’ho visto fare tante volte, dalle bandiere alle stalle” ha aggiunto. “E lentamente ho anche capito perché. Perché la Nazionale non ha tifosi duri e puri, è una parte di casa nostra dove si passa, si pranza e non si paga”.
Io penso che la verità sia un’altra e che abbia poco o nulla a che fare con la durezza e la purezza della passione. Noi italiani siamo così: facili all’entusiasmo della vittoria così come alla prostrazione della sconfitta. L’ascensore emotivo fa parte della nostra natura, della nostra storia. Perché tradirle e tradirci, allora, quando proprio il campo ci impone di gioire?
Questa Nazionale ha peraltro più qualità di quella che Conte guidò cinque anni fa, sempre all’Europeo, ma lo spirito è lo stesso. Gioca come una squadra di club, il Mancio Football Club, mostrando automatismi e una compattezza che non hanno bisogno di particolari addestramenti perché sono fisiologici: merito di scelte mirate, della selezione fatta da Mancini, di evidentissime compatibilità. Non l’abbiamo ancora vista soffrire sul serio, l’Italia: non ne avvertiamo il bisogno.
Non si tratta di crederci, ma di stare al gioco: di vivere appieno e con gioia un momento raro.
La Francia e Conte
Dopo aver visto il secondo tempo della Francia contro la Germania, Francia che ha giocatori con caratteristiche tecniche, fisiche e personalità fuori dal comune (Mbappé, Benzema, Pogba, Griezmann, Kanté e Kimpembe), prometto che non criticherò più il gioco di Antonio Conte. Questo perché dai campioni del mondo mi sarei aspettato qualcos’altro, pur tenendo conto della qualità degli avversari che, per inciso, in quasi cento minuti sono riusciti a centrare una sola volta la porta di Lloris. Deschamps ha messo a frutto l’esperienza italiana, oltre che alla prova la nostra capacità di comprensione: punta tutto sull’equilibrio e sulla rapidità e la (pre) potenza dei suoi attaccanti, straordinari contropiedisti, gente che brandisce accenti molto diversi. «Giocarci contro», come direbbe Allegri «è molto impegnativo». E non è per tutti.