La decisione di lasciare il Milan è esclusivamente sua. Raiola questa volta non c’entra. Sembra incredibile, ma è così. L’agente più caro del pianeta Papalla, il moltiplicatore di commissioni (quella di Haaland per il passaggio dal Salisburgo al Dortmund resterà nella storia: si favoleggiano 25 milioni, in parte destinati al padre dell’attaccante norvegese) non ha avuto alcun peso. Gigio Donnarumma, ventidue anni, al Milan da quando ne aveva quindici (lo strappò all’Inter), ha scelto di cambiare per crescere - «per diventare il numero 1 al mondo», come da vecchia promessa personale -, e non escludo che anche Zlatan Ibrahimovic, oltre ad alcuni colleghi, l’abbia più o meno indirettamente convinto che questa fosse la strada giusta.
Donnarumma si sentiva ormai un pezzo dell’arredamento di Milanello, il Milan come coperta di Linus, e proprio il timore di ritrovarsi sdraiato all’interno della comfort zone rossonera l’ha indotto a tagliare il cordone. Da mesi Paolo Maldini conosce-a le intenzioni del portiere, per questo si è mosso per tempo e - attraverso Elliott - ha preso il ventiseienne Mike Maignan del Lille, club che, proprio come il Milan, è controllato dal fondo americano. In un paio di occasioni Raiola aveva proposto un solo anno in più, ma per la dirigenza milanista il rapporto sarebbe potuto proseguire soltanto a condizione che la durata superasse il biennio - Ivan Gazidis era arrivato a offrire 8 milioni più uno di bonus a stagione.
Una vera trattativa con la Juve, poi, Raiola non l’ha mai avviata. Mai l’agente ha potuto accennare a commissioni milionarie. Fabio Paratici un giorno mi spiegò che a Donnarumma si erano effettivamente interessati, aggiungendo di non essersi spinti oltre «una chiacchiera» per la presenza in squadra di un portiere importante come Szczesny, legato da un contratto lungo e pesante. La giovane età e il valore tecnico di Gigio - sottolineò - gli elementi che avevano spinto la Juve (con Nedved tra i più convinti) a seguire con attenzione l’evoluzione del caso: un acquisto del genere avrebbe favorito la «creazione di un valore» e dato un signifi cativo segnale di forza alla concorrenza.
Anche il Psg non si è mosso prima dell’annuncio dell’addio al Milan: Leonardo non voleva ostacolare Maldini e il club per una questione di rispetto e memoria del suo passato professionale. Il sogno di Donnarumma, oggi, è quello di sempre, il Barcellona. Il presente un Europeo con la Nazionale di Mancini da disputare con la serenità di chi, confortanto da un’unica certezza, il proprio talento, sa di aver fatto una scelta di vita impopolare, e ne accetta i rischi.
L’estate scorsa, quando anche l’Inter si avvicinò, Raiola mi sorprese con queste parole: «Gigio l’ho preso ch’era un bambino, ma adesso ho a che fare con un uomo con due palle grandi così. Per lui sono pronto a ricevere in faccia altra merda. Il tempo mi ha sempre dato ragione e non c’è uno solo dei miei calciatori che possa dire che l’ho deluso o ne ho tradito la volontà».
Dopo Di Maio che si fa moderato, il Raiola pubblicamente “umanizzato” è una notizia. Ma prevale - nell’analisi - quel senso di soprammobile che Gigio si porta dentro. Avrebbe potuto consultare Dino Zoff , uno che è stato altrove ma si è sentito juventino tutta la vita; come Buffon, che per togliersi di dosso la maglia bianconera ha provato inutilmente le chic parisien e, non pago, a 43 anni cerca un’altra sponda. Forse l’addio l’ha senza volere autorizzato proprio Maldini: per provare a fermarlo, poteva fargli vedere certe immagini sue e di suo padre - eterni rossoneri - quando ostentavano ubriachi di felicità la Coppa dei Campioni per poi chiedergli «Gigio, ma tu in vita tua cos’hai vinto?».
Donnarumma è l’anomalia di un calcio in cui quasi sempre il denaro prevale sulle ambizioni. Non per soldi, Gigio ha deciso di rischiare di perdere tante simpatie, oltretutto nella stagione più complicata. Adesso è il momento dei sogni. Che l’hanno allontanato dal porto sicuro. Viva il lupo.