Rocco Commisso meriterebbe la prima soddisfazione internazionale e soprattutto per questo stasera tiferò Fiorentina. In quattro anni - fatti ieri - ha cambiato la percezione del club, ne ha accresciuto il valore, ha restituito al popolo viola progetti, sogni e desideri, titillando il senso d’appartenenza. Ha sbagliato solo una mezza dozzina di uscite contro i media, spesso generalizzando: da un uomo di comunicazione - quale lui è - mi sarei aspettato qualcosa di diverso. Di più originale. Rocco la merita, la coppa, perché è vero: a 73 anni ha la libertà - invidiabile - del vissuto, del successo self made e del denaro che gli fa dire al Financial Times «ci sono anche le gelosie, vero? Perché chi altro ha fatto quello che ho fatto io? Vuoi che li elenchi? Non gli Agnelli. Il nonno, forse, non i nipoti. Non Gordon Singer al Milan. Non quel ragazzo alla Suning. Sono i soldi degli altri. Qui non c’è nessuno, nessuno come me». Rocco ha fin qui riunito due anime, quella dell’azione e quella diciamo filosofica e pop. Memorabile la battuta «più c’hanno i soldi e più so’ fifoni».
Rocco ha comprato bene e venduto meglio, è addirittura riuscito a indebolire la Juventus tanto nelle casse (160 milioni) quanto sul campo (Bernardeschi, Vlahovic, fin qui assai deludente, e il povero Chiesa frenato dagli infortuni), un’impresa che per la Fiesole vale mezzo scudetto. Rocco è vicino alla gente e alla squadra, lo fa in presenza, non in smart, e la squadra - allenatore compreso - si sente protetta, rispettata, tutelata. Rocco ha fatto la guerra per la Viola, e poco importa che il suo primo obiettivo fosse il Milan. Una volta entrato nel mood fiorentino, non ne è più uscito. Rocco è la proprietà americana sui generis: le radici italiane gli hanno consentito di assimilare in fretta e praticare il linguaggio del nostro calcio, inoltre non ha tentato di introdurre l’american way of doing, anche se ogni tanto porta ad esempio l’organizzazione e la moltiplicazione delle opportunità degli Sates.
Con furore moralistico e il sogno eroico-nevrotico di cambiare il mondo, Rocco si è ribellato alla burocrazia, alla politica, alle irregolarità del sistema calcio, alla disinvoltura con cui lo stesso sistema si autoassolve per tentare di sopravvivere alla crisi. Qualche volta non è andato fino in fondo, limitandosi ad accuse violente ma generiche, ma almeno ha dimostrato di non condividere certe storture. Rocco crede di essere il benefattore della Fiorentina e noi, se porta titoli, glielo lasciamo credere. Rocco suona la fisarmonica: lo preferisco ai suonatori di piffero. Anche Joe Barone merita la prima gioia: gli perdoniamo qualche alleanza non proprio felice (almeno dal nostro punto di vista), si è però dovuto sgravare la gestione ordinaria, compito non facile, soprattutto nei primi due anni. L’hanno aiutato il buonsenso e l’esperienza di Pradé. PS. Tiferò in particolare per Cristiano Biraghi che con personalità, impegno e coraggio ha raccolto l’eredità di Davide Astori.