Ci stiamo raccontando da un po’ di tempo, rubando il mestiere ai Crepet, che i ragazzini d’oggi non riescono ad accettare il fallimento e le frustrazioni. Pep Guardiola ha 53 anni, ma a quanto pare non gli riesce molto meglio: le ultime immagini che sono circolate per il mondo risultano abbastanza agghiaccianti, sembra reduce da una discussione con un ghepardo o con la moglie che l’ha sorpreso assieme all’amante. Invece è bastata una partita, un’altra ad altissimo coefficiente rosicone: dopo cinque sconfitte consecutive, vinceva 3-0 sul Feyenoord e sembrava l’uscita dall’incubo, invece è finita 3-3. In questo suo periodo surreale, forse peggio che perdere 5-0.
Sul momento, quando gli hanno chiesto se fosse il ghepardo o la moglie, lui se ne è uscito con una papale ammissione: la rabbia, ho voluto farmi del male. In tanti casi, purtroppo, l’autolesionismo appare come l’unica soluzione adeguata davanti al mondo che svolta contromano. Ma allora, inevitabilmente, via subito con le letture in chiave psicanalitica: Pep non è bravo a perdere come è bravo a vincere, Pep è esemplare e sportivone quando gli tocca il numero uno, ma appena il vento gira contro guardalo come si concia, sembra caduto in un bidone di lamette.
Meglio sorvolare sulle delicate diagnosi dei social, da dove esce praticamente con la camicia di forza. I più umani gli fanno il copiaincolla della famosa “Lettera al Figlio” di Mark Twain, quel passaggio che tutti si sentono dire almeno una volta nella vita, se saprai accettare nello stesso modo la vittoria e la sconfitta, questi due grandi impostori.
Effettivamente un semidio come Guardiola può davvero sviluppare, a un certo punto della personale epopea, una specie di dipendenza dalla vittoria. Come una droga, alti dosaggi di coppe e trofei possono attivare l’Ego ipertrofico, facendo perdere la capacità di maneggiare dentro di sé le improvvise crisi d’astinenza. E al diavolo quelli che te la raccontano dolce e soave, gli antichi stoici ad esempio, è la sconfitta che smuove le cose migliori, la sconfitta è solo l’inizio della prossima vittoria, eccetera eccetera...
Però. A quanto pare niente di tutto questo. Il giorno dopo, sui social lo stesso Pep sbaracca con agile colpetto di spugna la mega-seduta psichiatrica: i graffi sono solo colpa di un’unghia troppo affilata. Alle volte, le situazioni: fa più danni un’unghia che cinque partite perse di fila e un pareggio suicida. Per chiarire ancora meglio, Pep riveste subito i panni del saggio – che adora - e la gira in sermone: «So bene quant’è serio il problema dell’autolesionismo. Molte persone lottano ogni giorno con problemi di salute mentale, e vorrei anzi consigliare una soluzione, chiamare la hotline dei Samaritans all’116123...». Problema serio sfigurarsi di rabbia. Beato lui che se la cava con un tagliaunghie.