Bologna, non si può dare di più

Leggi il commento del direttore del Corriere dello Sport - Stadio
Ivan Zazzaroni
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Chi non è di Bologna non può comprendere il valore storico-emotivo di questa partita e della prestazione. Chi lo è non ha capito perché abbia preferito il total black al bianco con le strisce diagonali rossa e blu della migliore tradizione, i segni distintivi da esibire a Anfield. Chi è di Bologna ha però provato l’orgoglio dell’appartenenza dopo i primi minuti di pura sofferenza e prevedibile inferiorità: tra il quindicesimo e la fine del primo tempo, sotto di un gol, la squadra di Italiano ha infatti riguadagnato fiducia e tono giocando alla pari con i leader della Premier e colpendo una traversa e un palo. Chi è di Bologna ha temuto per giorni l’imbarcata, la sconfitta da pallottoliere. Che non si è verificata, non c’è stata. Per merito di Skorupski e Lucumi, di Moro e Freuler, di Ndoye, che perde più palloni di quelli che recupera, e Orsolini che non ha ancora ritrovato la brillantezza dei giorni migliori. Per merito di un cuore grande così che ha pompato energia da Premier.

C’era Cesare Cremonini e c’era Morandi a Anfield, c’era la Bologna che canta e per noi conta di più: Gianni ha promesso che non si perderà una sola trasferta di SuperChampions e allora mi viene naturale ricorrere ad alcuni titoli delle sue canzoni per descrivere - per emozioni contrastanti - la sfida più importante degli ultimi 60 anni: dall’iniziale Chimera alla fiduciosa Andavo a cento all’ora, da Chissà cosa farà a Non son degno di te, da Una vita che ti sogno a Ma chi se ne importa. E comunque non Si può dare di più. Il Bologna nell’Europa più nobile. Quante volte in questi anni ho ripensato a quel lunedì di maggio del ‘68, era il 27, partita di ritorno della Coppa delle Fiere contro il Ferencvaros, la mia prima allo stadio, l’unica in compagnia di mio padre e mio fratello: Curva San Luca - mi ha corretto il secondo - e io che invece mi ero visto nell’Andrea Costa. Luis Carniglia in panchina, in campo Bulgarelli, Clerici, Haller e Pace, ma anche Tentorio, Guarneri, Perani; in porta Giuseppe Vavassori che qualche anno dopo sarebbe diventato il mio allenatore al San Lazzaro. Due a due il finale, e noi sbattuti fuori dal 2-3 di Budapest, Szoke, Varga, Horvath e Albert nella squadra ungherese. Sono passati 56 anni, quasi la metà dei 115 che il Bologna festeggia proprio oggi e che domani celebreremo con un fascicolo speciale pieno di ricordi, storie, cadute, risalite, gratitudine e passione che è ossigeno per l’anima.

PS. Ringrazio Sky e Massimo Marianella per averci fatto ascoltare per intero You’ll never walk alone. Quando l’emozione di uno stadio spettacolare cancella qualsiasi parola, anche la più intelligente.


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