Bologna, ci spinge la storia

Leggi il commento sul match dei rossoblù di Italiano in Champions contro lo Shakhtar Donetsk
Bologna, ci spinge la storia© FOTO SCHICCHI
Italo Cucci
3 min

Dopo un’ora di gioco ho visto il Bologna da Champions, con una punta d’eccellenza al 58’, quasi gol, quasi una preghiera - Santiago segna pro nobis ! - poi una pausa d’incertezza all’uscita di Fabbian all’80’ e un finale travolgente, coraggioso - solare il predominio rossoblù - ci fosse stato ancora il piede del ragazzone di Camposampiero magari arrivava il gol. Ma non è un rimprovero a Italiano: quando al 63’ è uscito l’Orso e ci son state quelle tre sostituzioni (Iling, Dallinga e Pobega) ho capito che il tecnico, dando l’impressione di sferrare un prodigioso attacco, cercava insieme di proteggere un risultato comunque positivo. Nota saliente: il Bologna tornava in Champions dopo sessant’anni, lo Shakhtar è alla sua diciannovesima edizione. Squadra eroica del Donbass - quell’Ucraina insanguinata - proseguirà la Coppa a Gelsenkirchen, è solida, esperta, si difende a dovere, ha voglia di slanci offensivi (come i rossoblù) ma dopo un tempo “de paura” è stata imbrigliata dal Bologna più bello che mai. L’avevo immaginato: robetta in campionato, arriva la Champions, esplode l’orgoglio, tutti in piedi come il popolo fedele che la sua partita l’ha giocata invece per cento minuti, un cuore grande così, un urlo continuo come quel pomeriggio dello scudetto. Emozione fortissima, voglia di lacrime da dedicare a quella squadra di Fulvio e Giacomino che abbiamo perduto e ch’è riapparsa per qualche tempo nel cielo lacrimoso del Dall’Ara.

BOLOGNA-SHAKHTAR, TABELLINO E STATISTICHE

Sì, me l’aspettavo, ma la spinta iniziale è subito venuta da quel rigore a un minuto e quarantaquattro secondi: benvenuta paura, benvenuto signor Sudakov, il migliore dei “minatori” (così si chiamavano ai miei tempi), benvenuto Skorupski con quella parata che ha comunicato la voglia di battersi, di vincere, comunque di offrire alla città, all’Italia intera, l’immagine di una squadra vera. M’ero preso un appunto: la vera Champions arriverà il 2 ottobre, affrontando il Liverpool di cento leggende (e dell’ultima bravata a San Siro ai danni del povero Milan…ibranato) ma adesso so che non saremo soli nemmeno noi, a Anfield, perché ci spinge la storia, ci sostiene la voglia dell’Orso e dei suoi compagni di esibirsi più forti di quanto ce li abbia mostrati il torneo affrontato senza Calafiori, senza Zirkzee, senza Saelemaekers sì, anche senza Motta che per ora ha già mostrato una Juve davvero da Champions. Fino a ieri eravamo soddisfatti di esserci, in Champions, come invitati generosamente nell’Europa, come ospiti in memoria degli avi che avevano conquistato per primi, a Parigi, nel 1937, un titolo del continente diventandone signori. Povero calcio, diciamo oggi in Italia, con una Nazionale appena speranzosa di rinascere, con polemiche, debiti, panchine roventi, campioni dormienti, stranieri dominanti. Eppure, con sacrosanto egoismo, esco rasserenato dal cuore del Dall’Ara e mi dico: avanti così. Aspettando quel benedetto gol. Come Godot.


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