Champions League, il punto di non ritorno

Leggi il commento del Direttore del Corriere dello Sport - Stadio
Ivan Zazzaroni
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Dopo una ventina di minuti ho sperato che salisse improvvisamente sul palco Milly Carlucci e, raggiunti Buffon e Ronaldo, gridasse «Stop al televoto!». In certe occasioni mettere un punto fermo è più che utile. 

Il giochino “Schiaccia il bottone e fidati di me, ci sentiamo tra un paio di giorni per il calendario” non mi ha entusiasmato: lo studio Sky ha tentato in tutti i modi di venirne a capo, mancava purtroppo - e per ragioni naturali - Stephen Hawking, l’unico in grado di decifrare in tempo reale le elaborazioni del computer dell’Uefa, ribattezzato per l’occasione Luceferin. Il leggendario fisico inglese ci ha lasciati sei anni fa e pare che non avesse nemmeno l’abbonamento a BSkyB.  
Soltanto intorno alle 19 un foglio di carta e quattro scarabocchi di Intorcia mi hanno permesso di arrivare a capire qualcosa. Posso solo augurarmi che sul campo le cose risultino più semplici e per tutti. Perché il torneo è intrigante.

Trentotto anni dopo l’euro-visione di Silvio Berlusconi siamo così arrivati al campionato europeo per club. Ricordo che il sogno del Cavaliere fu respinto con perdite, anche per la ferma opposizione dello spagnolo Angel Maria Villar. Da allora, però, il progetto di un maxitorneo non è mai tramontato: dal ’92 in poi se ne è discusso a più riprese, ma inutilmente, fino a quando l’Uefa ha deciso di accogliere e sviluppare la soluzione dell’ex portiere di Ajax e Juve Edwin Van der Sar, estimatore della formula “swiss system” che riprende in parte quella del campionato scozzese. 

La SuperChampions rappresenta un punto di non ritorno per calcio e telecalcio, che sono la stessa cosa ormai. E possiamo soltanto ipotizzare cosa accadrà tra il 17 settembre e metà febbraio, quando si concluderanno gli spareggi e le prime esclusioni saranno definitive: troppa è la curiosità di verificare sul campo gli effetti che la nuova coppa produrrà sui campionati nazionali. L’interesse per la UCL è effettivamente enorme, dovremo soltanto abituarci alla formula e alle sue “depravazioni” e provare a resistere al fascino del denaro che la manifestazione muove. 

Ma pensiamo a noi. Ben cinque squadre su 20 saranno impegnate per minimo otto volte con evidenti condizionamenti in termini di scelte tecniche, pressioni, stress, infortuni e altro. Non serve possedere l’immaginazione dei cervelloni più floridi per capire che i danni maggiori li subirà proprio la A: l’appeal della SuperChampions è dieci volte superiore e i ricavi che garantirà alle frequentatrici sistematiche della coppa aumenteranno la distanza con il resto della compagnia. In altre parole, avremo dei ricchi sempre più ricchi, pur se condannati a spendere tanto per mantenersi ultracompetitiviti e poveri sempre più poveri. La verità è che si possono cambiare tutte le formule che si vuole ma senza un numero maggiore di campioni il risultato continuerà a essere apprezzato solo dal tifoso vincente. Tempi sempre più magri, dunque, per i semplici appassionati. 

PS. Complimenti sinceri a chi azzarderà pronostici su qualcosa che non si è mai visto.


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