Lo prese nel settembre 2004, e settembre è il mese di San Gennaro. Quando il Napoli festeggerà il terzo scudetto della vita saranno trascorsi 19 anni, e il 19 è il giorno del santo, oltre che “la risata” nella smorfia. Singolari coincidenze, certo: ma per chi, come me, ha il privilegio di frequentare Napoli da oltre un quarto di secolo l’interpretazione scaramantico-numerologica diventa inevitabile.
Il personaggio De Laurentiis
Scaramanzia, numeri, santi, fortuna e intuizioni sono presenti nel percorso professionale e umano del 74enne Aurelio De Laurentiis, il dirigente più divisivo, visionario e imprevedibile del nostro calcio. Portato da sempre a volare altissimo per origini, formazione, frequentazioni e aspirazioni, DeLa sforna idee e controidee a getto continuo. Il low profile non fa proprio per lui, che sa guardare oltre le cose e i tempi. Talvolta troppo. Tutto suo è il modo di intendere i rapporti personali e di lavoro: è facile alle infatuazioni, ma anche a contrasti che nel giro di poco tempo sfociano nel divorzio. Possiede tuttavia una straordinaria capacità di recupero con chi ha chiuso male o malissimo. De Laurentiis è personaggio, sa di esserlo, vuole esserlo: nei momenti di buona lo trovi simpaticissimo, affettuoso, complimentoso e generoso di sé, ma non appena cambia il vento degli umori, o qualcosa non gli sta bene, può diventare volgarissimo (nel linguaggio) e dirompente. In Lega stringe alleanze, costruisce e abbandona tavoli, manda tutti affanculo, contrasta, strappa, riallaccia, caldeggia progetti (media company, piattaforme, fondi) che in seguito fa abortire. Pesa assai più dei colleghi. Tutti tranne uno.
Il rapporto con la città
Con la città e la tifoseria ha avuto rapporti burrascosi: ha subìto contestazioni anche per il modo di porsi nei confronti del prossimo. L’esibizione di superiorità della squadra sul campo cancella soprannomi sgraditi, striscioni infamanti, la maggior parte dei dissensi. Tante volte mi sono chiesto se sia stato più intuitivo o fortunato, relativamente alla scelta dell’allenatore al quale affidare la squadra. Quando Mazzarri stava allontanandosi dal Napoli, presentò il contratto a Gasperini, ma alla fine riallacciò con Walter. Dopo Mazzarri prese Benitez: salutato Rafa, che lo introdusse alla dimensione europea, trattò con Mihajlovic e con Spalletti, incontrò Emery a Madrid, tornò su Sinisa e infine scelse Sarri. Sorprese il mondo con Ancelotti e lo mollò per Gattuso, incontrato al compleanno dello stesso Ancelotti. Dato l’addio a Gattuso, cercò Galtier, Sergio Conceiçao, Simone Inzaghi, Spalletti, che bloccò, si spinse fino ai dettagli con Allegri e, al no di Max, tornò su Luciano. Gli è sempre andata bene.
Napoli hollywoodiano
Nei giorni scorsi un agente letterario mi ha spiegato che un libro su De Laurentiis sarebbe accolto dal mercato con più interesse rispetto a uno su Spalletti, proprio per l’internazionalità del personaggio. Basterebbe mettere insieme alcuni dei tanti film che ha prodotto per descrivere passaggi e contenuti della sua avventura napoletana. Cito, ad esempio, Nessuno è perfetto (1981), Culo e camicia (81), Sognando la California (92), Il nostro matrimonio è in crisi (2002), Il mio miglior nemico (2006), Posti in piedi in Paradiso (2012), L’abbiamo fatta grossa (2016), Benedetta follia (2017) e Si vive una volta sola (2021). Stasera il suo Napoli hollywoodiano, DeLa La Land, ha la possibilità di raggiungere per la prima volta nella storia i quarti di Champions, ovvero di entrare a far parte delle prime otto squadre europee, salendo ulteriormente nel ranking Uefa. Per l’occasione - vedo sui muri, nelle vetrine, nei bar un trionfo di figurine diventate quasi per magia figurone; noto - anche imbarazzato, confesso - l’abolizione (provvisoria) della scaramanzia. Che non significa la fine di una cultura - non un vezzo - ma un passo avanti verso la certezza conquistata in modo del tutto originale: lavorando duro, con intelligenza, senza chiedere miracoli.