Il 22 febbraio, in piena notte, è ritornato sulla terra Romelu Lukaku dopo un lungo viaggio su Marte. Finalmente un gol pesante, un gol che vale tanto, forse anche venti milioni se l’Inter riuscirà a entrare nei quarti resistendo alla prevedibile battaglia di Oporto. Prima un salto in alto sul cross di Barella, poi il guizzo rapidissimo sul palo-respinta che sembrava nascondere il sapore della beffa. Dopo aver sfondato la porta (minuto 86) e liberato la squadra da un incubo (ma come si fa a fare un gol a questa fortezza portoghese?), il belga è andato a cercare l’abbraccio del suo amico del cuore, con cui aveva litigato di brutto a Marassi e con cui si era già chiarito in privato: tenera l’intesa con Barella, che aveva dipinto quel pallone dalla destra regalando la resurrezione al centravanti nerazzurro, entrato in corsa per sostituire un Dzeko oscuro, non all’altezza della sua stagione magica.
Ritorno al passato
Erano i guizzi che Romelu faceva all’epoca di Conte, quando trascinò di peso l’Inter verso lo scudetto e la finale di Europa League: guizzi che Inzaghi, richiamandolo da Londra, sognava per prendersi la rivincita anche in campionato, ma da agosto a questo splendido 22 febbraio Lukaku in realtà non si è mai visto. Stavolta, invece, è entrato più avvelenato di quanto lo era a Genova e nel finale ha fatto la differenza su una delle grandi occasioni che aveva creato la squadra. E subito dopo, avrebbe potuto firmare anche il 2-0 se non avesse preso in pieno il portiere da pochi passi. Una vittoria nella vittoria, quella di Inzaghi, che aveva rinunciato all’ex Chelsea dopo la deludente partita di Genova, dove aveva segnato sul rigore sbagliato e ripetuto. Simone in avvio contro il Porto si era affidato alla squadra con cui era arrivato agli ottavi, senza Brozovic e, appunto, il belga. Ma quando dopo un’ora si è accorto che bisognava fare qualcosa in più, il tecnico ha cambiato e stavolta ha centrato tutte le mosse, compresa quella di Gosens al posto di Dimarco, esausto dopo le ripetute volate sulla fascia sinistra.
Un risultato importante
La partita è stata brutta, ma la vittoria è davvero pesante: l’1-0 non può essere definitivo eppure può consentire all’Inter di affrontare il ritorno con più serenità e, soprattutto, con gli spazi che gli dovrà lasciare un Porto più offensivo rispetto a quello di San Siro. Sergio Conceiçao, che da giocatore amava attaccare e danzare sul pallone, evitando qualsiasi tipo di contrasto, è diventato l’opposto in panchina: un guerriero pronto a metterti nelle peggiori condizioni di gioco. Spazi chiusi, pressing ossessivo, falli tattici e ripartenze improvvise che in un paio di occasioni hanno costretto Onana a esibire le sue doti di grande reattività. Non è un portiere elegante, questo è certo, ma di grande rendimento e sostanza, pronto a parare anche con i gomiti oppure con i piedi, come faceva Garella negli anni ‘80. Di brutto, solo la lite - plateale - con Dzeko, tipo quella Lukaku-Barella ma senza parolacce. L’Inter ha avuto una pazienza infinita, pur rischiando in avvio di ripresa, ma alla fine è arrivata a dama in una serata in cui è mancata la freschezza e l’attenzione di Lautaro, sempre in campo dall’inizio di gennaio e quindi più stanco degli altri. Incredibile la parata in bagher (volley) di Diogo Costa sul colpo di testa di Bastoni un secondo prima dell’intervallo. Se il Porto avesse preso quel gol, per la squadra di Inzaghi la ripresa sarebbe iniziata in discesa. Dell’Inter ha colpito l’insistenza e la determinazione con cui ha cercato questo 1-0 arrivato quando l’insopportabile Otavio è stato espulso dal campo. La vittoria nerazzurra completa un momento d’oro - forse inaspettato - delle italiane in Champions: il Milan ha battuto il Tottenham, il Napoli ha dato spettacolo a Francoforte e l’Inter ha oltrepassato il bunker portoghese, seppure solo all’86. Le premesse per sognare tre squadre nei quarti ci sono ma la corsa è ancora lunga e solo per Spalletti la missione sembra già compiuta.