La Juve di Sarri finisce qui. Il violino di Garcia ne accompagna la dolorosissima uscita addirittura in un ottavo di Champions. Il fallimento è autentico, «mentalmente devastante», la conclusione più amara di una stagione certamente assurda nella quale - però - è risultata subito evidente la distanza tra l’allenatore toscano, la sua idea di calcio, anche il suo modo di comunicare, e tutto quello che la Juve rappresenta, i valori che incarna: perse in partenza la scommessa del bel gioco e, quel che più conta, anche quella assai più grave del grande risultato.
La Juve è arrivata malissimo all’appuntamento d’agosto, con due sconfitte nelle ultime otto partite, oltre cinquanta gol subiti e l’ansia che derivava dalla consapevolezza di non essere al meglio: l’ingresso in campo di Dybala in quelle condizioni è l’immagine di una gestione sfortunata oltre che fortemente disturbata.
A sessantun anni e mezzo Sarri ha vinto il primo scudetto della vita, ma è passato il messaggio che quel titolo avesse una madre, la società, tanti figli, i giocatori, e nessun padre. Per tutta la (breve) vigilia del ritorno con i francesi non si è quasi mai parlato, né scritto, del presente della Juve con Sarri: a tenere banco è stato il futuro senza. Tra le tante cose sentite o lette, ricordo la frase di Andrea Agnelli, uno che non parla mai a vanvera, pronunciata durante la presentazione di Andrea Pirlo: «Non posso che fare i complimenti a Pavel, Fabio e Fede (Cherubini, nda) per aver saputo ricaricare la macchina». Sarri? Trascurato, non ancora rimosso.
I giudizi non sono presi sulla base di una singola partita, aveva ribadito Paratici poco prima dell’inizio. Ma proprio una partita, questa, la più decisiva e condizionante, oltre alle due finali perse e all’eliminazione dalla coppa ossessione, potrebbe convincere la società a prendere la decisione che covava da tempo.
Da mesi sento ripetere che Sarri non ha più in mano la squadra e che a decidere tanto in campo quanto fuori sono i campioni più rappresentativi, i leader più ascoltati del gruppo (ieri sera il primo a presentarsi davanti alle telecamere è stato Buffon, il capitano morale). Non voglio, né posso credere che sia così: ho troppo rispetto di Maurizio per immaginarlo sottomesso in qualche modo ai giocatori. È però vero che nella sua Juve le individualità hanno troppo spesso prevalso sul resto.
L’arbitro Zwayer merita due-parole-due: ha fatto solo dei danni, indirizzando la gara con un rigore inesistente che ha condannato la Juve a una rincorsa ancor più affannosa. Ha provato subito a rimediare concedendone un altro grottesco, quello del pari (in tedesco compensazione si dice “vergutung”), ma la Juve non ha avuto la capacità di approfittarne.