La prendo da lontano, ma ci arrivo in fretta. Come l’Atalanta: due minuti e cinquanta, gol di Ilicic, e il discorso è chiuso. Parto dalla Val Seriana «ed è come se tutto adesso fosse sigillato in un incubo » scrive su Repubblica Paolo Berizzi. «Un mondo intermedio scandito dalla paura, dall’incertezza. Nemmeno una settimana e l’Eden produttivo bergamasco si è trasformato in una trincea sanitaria rovente: l’area più compromessa, e più in difficoltà, del Paese».
Ho un caro amico, Walter G., che ha l’azienda a Cene e da giorni ha spostato la famiglia sul Lago di Garda: le possibilità economiche, per sua fortuna, non gli mancano. Paolo S. vive invece ad Albino, gli uffici li ha a Bergamo. Ha fatto la stessa cosa: meglio là che qua per numero di episodi, per densità. Cene, Albino, Nembro, Alzano, Gandino sono alcuni dei trentotto centri della valle purtroppo considerata la Wuhan italiana. I locali non hanno gradito il paragone, l’eccesso, ma essendo gente pratica e solida l’hanno risolta con un’alzata di spalle e si sono rimessi a faticare la vita.
L’Eden produttivo è da sempre orgogliosamente atalantino - non mancano i milanisti e gli juventini - Bergamo è a pochi chilometri, il sogno è qui, adesso. Un sogno a metà, ma pur sempre un sogno. Ieri l’Eden trasformatosi in inferno era davanti alla televisione e per novantadue minuti ha staccato, diviso tra una gioia unica e forse irripetibile e una preoccupazione sempre presente.
Per una sera, tuttavia, la Dea non è stata soltanto dei bergamaschi, ma di tutti, è stata l’Italia prim’ancora che il calcio confuso e indeterminato che rappresenta. Completando il miracolo è riuscita a dribblare gli ostacoli dell’insicurezza e della paura regalandoci una pausa breve ma salvifica, antidoto all’azzeramento della normalità.
Di questi tempi la normalità è diventata la nuova rarità. Raro è Gasperini che ha fatto qualcosa di impensabile: ha raggiunto i quarti di finale di Champions con una squadra capace di produrre gioco, risultati e profitti; una squadra così poco italiana cresciuta proprio là dove un tempo l’italiano era l’unica lingua calcisticamente accettata. L’Atalanta è diventata grande ed europea nel momento in cui ha deciso di affidarsi a Giovanni Sartori, secondo soltanto al miglior Sabatini per abilità nell’individuare talenti stranieri a costi accessibili (Hateboer, Gosens, de Roon, Pasalic e Malinovskyi gli ultimi colpi, già smaniano Czyborra e Heidenreich) e - appunto - Gian Piero Gasperini, formatosi su testi olandesi e piazze complicate.
Per la prima volta una provinciale ha tagliato un traguardo che dalla stagione 94-95, la prima con la formula Champions, avevano raggiunto soltanto Juve, dodici volte, Milan (7), Inter (6), Roma (3) e Lazio (1).
«Dovevamo vivere una delle serate più belle della nostra storia, invece questa situazione di emergenza fa passare in secondo piano tutto» si legge sulla pagina Facebook della curva atalantina che aveva acquistato i biglietti per Valencia, ovviamente mai raggiunta, e che ha deciso di rinunciare al rimborso per devolvere l’intera somma, 40 mila euro, all’ospedale Giovanni XXIII.