Vorrei essere De Laurentiis per chiamarli tutti e dirgli “non vi pago per andare in giro per l’Europa a fare la figura dei polli”. O peggio. E, per fortuna, quello scivolone di Allan all’83 non è stato sfruttato al meglio, sennò il Napoli sarebbe tornato a casa sconfitto.
Il Napoli? Lasciatemi dire che senza il tormento (obbligato) di Compagnoni e Marchegiani - e soprattutto la scritta Lete sulla maglia - non avrei riconosciuto la squadra che ha battuto il Liverpool. Un Napoli spersonalizzato, cincischiante, spesso anche rigido, mai un colpo di fantasia, è riuscito piuttosto nell’impresa di assomigliare a quello battuto dal Cagliari e vittorioso con fatica sul Brescia. Per chi conosce il calcio, quasi un miracolo, perché modificando i giocatori il prodotto non è cambiato. Anzi, per quel che serve tentare di disilludere osservatori benevoli e tifosi accorati, sicuri di un successone al ritorno, tengo a precisare che il giovane Genk ha dato anche lezione di calcio. Una bella squadra, forse fin troppo accademica, ma si può quando si hanno piedi buoni, slancio fisico, serenità nei duelli, nei contropiede, nell’esecuzione, pur mancando di sfondatori determinanti. Come il Napoli. Senza Insigne, Mertens e Llorente sembrava un’imitazione malriuscita di una squadra che ho visto tante volte battagliare e invece iersera quasi ansiosa di sentire il fischio finale. Magari per dire: ci è andata bene. Anch’io sono per principio convinto della priorità del non perdere, ma scusate se lo faccio valere con avversari prestigiosi, non con un Genk piacevole, fluido, applicato - tipo Leicester d’antàn - che forse gli osservatori di Ancelotti non hanno studiato con attenzione.
Ho sentito, alla vigilia napoletana, parlare di “turnover intelligente”: ma il turnover non può essere intelligente, magari furbo, strategico, intelligente mai. Presuntuoso, piuttosto. Mi chiedono prima della partita cosa penso di Insigne in tribuna, rispondo con l’esperienza: se vinci sei forte, se perdi sei fesso, se pareggi vedi di non rifarlo. Risolvi i problemi senza pregiudicare la qualità della squadra.
Come quella panchina di Mertens e Llorente - ripeto - quando dovrei sapere che Milik in battaglia s’imbosca e Callejon fa da anni sempre la stessa mossa che l’hanno imparata anche in Belgio. E tutto questo movimento per cosa? Per scoprire se cambiando uomini posso ritrovare un Napoli perduto? Entragli nella testa, Carletto: è lì il problema. E fidati sempre dei migliori. Io, quelli che fanno esperimenti in Champions, non li capisco.