ROMA - Mourinho è rimasto in religioso silenzio per due mesi. Sì, qualche battuta su Instagram, ma niente di più: una chicca l’abbraccio al centravanti fantasma. Sul mercato non ha voluto toccare palla: ha il contratto in scadenza, non ha la possibilità di programmare sulla media distanza e poi gli hanno fatto una testa così con i limiti di spesa della società. Aziendalista e pompiere, massima serietà: lascia fare, gestisce qualche momento di frustrazione, lavora per ottenere il meglio dal materiale che gli mettono a disposizione. Cessioni, prestiti e acquisti sono quindi da ricondurre a Tiago Pinto, che dopo aver mancato una lunga serie di centravanti, anche perché condannato a operare all’interno dei tristissimi confini del FFP, ha capito che bisognava tentare l’azzardo. E l’azzardo era Lukaku: la Juve non c’era più e il Real, al quale era stato offerto dall’agente Pastorello, sviluppava altri piani. Devo provarci - avrà pensato Pinto - perché Mou e la Roma non meritano una campagna a zeru euri, articolata su opportunità più o meno interessanti. Anche Azmoun lo è, così come Sanches e Paredes, e parliamo di giocatori che – esattamente come Lukaku - non hanno svolto la preparazione e non hanno minuti nelle gambe.
Mourinho, l'uomo dei miracoli
Viva il pari con la Salernitana e la sconfitta di Verona, dunque: sono convinto che se oggi la Roma avesse 6 punti, e non uno, Lukaku sarebbe ancora a Bruxelles. Ma forse mi sbaglio. Se Dan Friedkin è stato ed è la salvezza finanziaria della Roma, al di là delle lunghe assenze e dei silenzi, Mou - strepitosa intuizione presidenziale - è l’uomo dei miracoli. Richiesti e non. Da quando c’è lui, due finali e un trofeo europei, un’attenzione internazionale per il club mai registrata in precedenza e, soprattutto, il dovere della proprietà di andare, pur se in extremis, oltre i limiti dell’immaginabile. Vedi Dybala e Lukaku. Campioni che con un altro allenatore non sarebbero mai arrivati.
PS. I 7mila tifosi che ieri pomeriggio sono andati a ricevere Big Rom mi hanno entusiasmato: ho ritrovato tutta la potenza emotiva del calcio e del sogno che si avvera. C’erano tanti bambini. Fossi stato a Ciampino, avrei chiesto a Gulliver Lukaku di andare a salutare i lillipuziani giallorossi. Quei bambini sono da coltivare con amore, sensibilità e tanta cura: rappresentano la continuità di uno sport sempre più impopolare, purtroppo, oltre che del lavoro di tutti noi.