Roma-Lukaku, l'approdo perfetto

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Alessandro Barbano
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ROMA - Con Lukaku la Roma continua a essere una fabbrica di sogni. Pochi giorni dopo la sconfitta di Verona, l’infortunio di Dybala, la problematica assenza di Mourinho in panchina, la passione giallorossa trascina settemila tifosi a Ciampino in un pomeriggio di fine estate. L’operazione, sportiva e mediatica insieme, è praticamente perfetta, tanto da occultare da sola un mercato inesistente. E riaccendere la speranza. Il prestito in corsa di un attaccante trentenne, peraltro in assenza di preparazione, non è la carta che vale lo scudetto. Ma è la fiammella che scalda i cuori e dà un senso al sold out che fa degli spalti giallorossi dell’Olimpico un serbatoio unico di ottimismo e di amore.

Lukaku però arriva e divide. C’è un calcio, non solo romanista, che lo accoglie per quello che rappresenta, uno dei grandi campioni del nostro tempo, un centravanti unico nel suo genere, per la fisicità, l’intelligenza tattica e la generosità che mette al servizio della squadra. E c’è un calcio che lo ignora o, peggio, lo bersaglia con censure troppo banali per nascondere il pregiudizio. Così Lukaku è raccontato come un Giuda, perché al termine di una stagione di convalescenza tradisce la fiducia di Inter e Chelsea, per cercare asilo alla Juve, e poi dirigersi a Roma. Oppure come un Ulisse, un personaggio alla ricerca tardiva di sé, che finisce per smarrirsi nella ricerca di un tempo perduto.

Lukaku aveva bisogno di uno come Mourinho

Dietro questi stereotipi c’è la miopia di un giornalismo incarognito, che rinuncia a capire. Lukaku non tradisce e non fugge da nessuno. Piuttosto, come ogni grande atleta, fa i conti con la sua unicità. Che è una corazza di muscoli, tanto robusta quanto difficile da governare. Una zavorra o piuttosto una risorsa, a seconda dell’impegno con cui la sostieni, la solleciti, la sfidi. Il successo è per lui una durissima partita con il proprio Io. Che impone una preparazione massacrante del corpo e una motivazione speciale dello spirito. Lukaku fa trenta gol se si sente accolto, sollecitato a duri allenamenti, spronato costantemente a superarsi, caricato da una fiducia incrollabile. È accaduto con Antonio Conte, e non è un caso. Non si è ripetuto a Londra con Tuchel, che lo considerava uno dei tanti, né a Milano con Inzaghi, troppo inquieto e incerto per costruire rapporti speciali.

Lukaku cercava un pastore di anime, un tecnico capace di farlo sentire tanto importante da dargli la forza di sollevare i suoi cento chili e librarli a mezz’aria in uno dei suoi stacchi di testa. Mourinho non è un ripiego, ancorché arrivi dopo il fallimento della trattativa con la Juve, e alla fine di questa affannosa ricerca. È piuttosto l’approdo perfetto, per la fiducia che sa infondere e per il carico di entusiasmo che scatena. Che l’Olimpico farà il resto è una previsione, o piuttosto una scommessa, suggerita dal buon senso e, direbbe il poeta, scevra di servo encomio e di codardo oltraggio. Dai, Romelu, rimonta sulla cyclette e fagli vedere che sai fare!


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