Un divorzio consensuale, ma anche un cattivo affare, quello che coinvolge Nicolò Zaniolo e la Roma. Anzitutto perché i venticinque milioni, che ragionevolmente la società giallorossa può ricavare da una cessione, sono poco più che uno spruzzo nell’oceano del deficit stagionale, pari a 219 milioni. In secondo luogo perché la rottamazione coincide con il fallimento di una strategia sportiva per il club e per il Paese. Zaniolo è stato - il passato prossimo inizia a essere d’obbligo - uno dei talenti più promettenti del calcio italiano degli ultimi anni, per quello che in potenza ha fatto vedere. Se la potenza non si è tradotta in atto, le responsabilità sono molte, e certamente tra queste c’è quella del calciatore. Che non ha dimostrato una maturazione caratteriale, prima che sportiva, e ha reagito alle critiche arroccandosi spesso in un autoisolamento egocentrico. Però non si può ignorare che il giovane talento è passato per la cruna strettissima di due infortuni gravi in un tempo brevissimo, e forse non gli è stato accordato un adeguato diritto alla convalescenza. Abbiamo tutti preteso che Zaniolo tornasse quello che ci aspettavamo potesse diventare e ancora non era mai stato. “Devastante”, come pure lo ha definito più volte il ct della Nazionale, Roberto Mancini, con l’intuizione di chi sa riconoscere la qualità in anticipo.
Il rinnovo di contratto che non arriva
Al termine della scorsa stagione, conclusasi per la Roma con la vittoria della Conference grazie a una magia del fantasista, quel giorno in campo a Tirana nonostante la frattura composta a un piede, nessun impegno è stato assunto dal club per il prolungamento del contratto. In qualunque altro contesto, e in un clima di reciproca fiducia, un talento protagonista di un’impresa così importante, tanto da salvare una stagione altrimenti mediocre, avrebbe ricevuto un’offerta. L’atteggiamento della società è stato invece quello di verificare quale mercato Zaniolo avesse, sicché la sua permanenza a Roma è oggi l’esito della mancanza di trattative estive. Il che era quasi scontato. Un giocatore giovane che esca da due infortuni così gravi non ha offerte in un’economia sportiva colpita duramente dalla pandemia e dagli azzardi gestionali degli anni precedenti. Ma da quel momento il rapporto tra Zaniolo e la Roma è diventato una coabitazione coatta, certificata dal persistente rifiuto della società ad adeguare e prolungare il suo contratto. Questa scelta oggi la paga soprattutto la dirigenza giallorossa, perché la poca fiducia che ha avuto nei confronti del ragazzo le torna indietro nella riluttanza dei potenziali acquirenti a prenderlo con sé. Sicché il divorzio consensuale, certificato in queste ore, non ha neanche approdi che consentano un’exit strategy. Nient’altro che una riduzione del danno sarebbe un’offerta di venticinque milioni, l’unica realisticamente possibile. Non c’è dubbio che a questa incertezza contrattuale Zaniolo non ha reagito dando prova di orgoglio e di carattere. È parso invece lasciarsi andare a uno scoramento personale. In una stagione in cui la Roma è chiamata a risultati migliori della stagione precedente, non c’è il clima ideale per sostenere un campione fragile. L’esito di queste variabili è l’espulsione, verso una meta che al momento neanche si conosce. Non è un finale da applausi.