Non ha partecipato alla megafesta organizzata da Messi soltanto perché voleva rientrare in fretta a Roma, la sua nuova casa, la nuova responsabilità. Alle 6.45 di giovedì scorso, quando è sbarcato a Fiumicino, Paulo Dybala ha saputo d’aver preso la decisione giusta: a sottolinearne la bontà è stata l’accoglienza di una decina di tifosi. A quell’ora, con quel freddo e dopo due mesi di nulla cosmico. La Roma non ha peraltro mai smesso di scaldare il cuore dell’argentino che non può dimenticare la presentazione all’Eur, le migliaia di innamorati sulla fiducia, i colori, i cori, tutti puntualmente registrati nei video conservati nello smartphone. In fondo quello che per sette anni avrebbe voluto ricevere alla Juve l’ha ottenuto immediatamente alla Roma e in dosi massicce.
La Roma ha avuto la forza di unire due anime. Paulo l’ha scelta esclusivamente per Mourinho: soltanto in un secondo tempo ha scoperto quanto tifoseria e allenatore fossero in grado di dargli. Il rapporto con José si è consolidato in pochi mesi, al punto da far sospettare che se un giorno José dovesse andar via, Paulo lo seguirebbe al volo: non riuscirebbe a restare in una realtà diversa da quella decisamente “terapeutica” che ha conosciuto. È doppiamente grato e legato al tecnico anche perché sa che un pezzo del titolo mondiale conquistato con l’Argentina lo deve a chi, per consentirgli di realizzare il sogno grande, ha gestito con scrupolo le settimane e i rapporti con la Selecciòn (leggi Walter Samuel) che hanno preceduto l’evento.
Un prezioso gioco di attenzioni e sensibilità, insomma; attenzioni e sensibilità che non mancano a Paulo e con le quali ha conquistato i compagni e il personale di Trigoria: una delle prime cose che ha fatto quando si è ripresentato al centro tecnico è stata mostrare a tutti la medaglia del Mondiale, come a voler condividere il suo successo, l’enorme gioia. Il rigore realizzato nella finale con la Francia ha dato un senso compiuto all’avventura e spinto Paulo ad aumentare il livello delle aspettative per il 2023. «Voglio vincere qualcosa con la Roma» ha detto alle (poche) persone che ne raccolgono le confidenze. Vincere con la Roma anche per completare il riscatto personale.
A proposito di riscatti, ma di altra natura: nei prossimi giorni tornerà certamente di attualità anche il futuro di Dybala, il cui contratto prevede una clausola che permette al possibile acquirente di tesserare il campione versando una cifra abbordabilissima. Il giovane Tiago Pinto, che proprio in queste ore si arrabatta tra condanna del risparmio, accordo capestro del FPF, bilancio in rosso fuoco, frasi e verità verosimilmente depressive, caso Karsdorp e progetto giovani caricato sulle spalle (larghe) di Mourinho; Pinto - dicevo - si ritrova con un problema in più da risolvere. Ed è un problema che nel giro di poco tempo potrebbe diventare molto serio.
Il contratto della Joya è il punto: 3 anni più uno la durata; 4 milioni a stagione più 2 di bonus non tutti semplici, la base; al termine del primo anno, se in precedenza non è intervenuta una correzione migliorativa, una clausola d’uscita del valore di 12 milioni per l’estero e 20 per l’Italia libera il giocatore. Se la clausola viene nel frattempo azzerata, i bonus diventano parte dello stipendio che sale così a 6 netti. Soprattutto in tempo di vacche magre e bilanci urlanti, come l’attuale, è necessario non disperdere la qualità - poca, tanta - che si possiede. Perché, come dice il saggio della rete, “la più importante qualità di una casa è la luce. Quanta luce fa entrare? Lo stesso vale con le persone”. Lo stesso vale nello sport, in particolare nel calcio. I venti minuti di Dybala nella sua ultima uscita romanista - la partita dell’attesissimo rientro - prima della partenza per il Qatar vengono ancora ricordati come l’accensione della luce in un momento di sostanziale, sconcertante mediocrità.