DIMARO FOLGARIDA - Il cielo è grigio sopra Dimaro, provincia di Napoli. Grigio fumo di Londra. Koulibaly non è ancora partito, accadrà nel pomeriggio, ma l'atmosfera allo stadio Comunale di Carciato rispecchia esattamente quella della squadra e della città: tristezza mista a rassegnazione. Un film in bianco e nero, altro che 4K (come Kalidou): titoli di coda, fine, adios. Sì, l'aria è questa fino alle 10.15, o giù di lì: appare un ciuffo di capelli dorato come un raggio di sole e un boato accompagna l'arrivo di Victor Osimhen. Il frontman della squadra. Il solista del gol. La speranza a cui il popolo ha deciso di aggrapparsi in uno dei momenti di maggiore depressione sportiva e in attesa del mercato. Osi c'è, sì: era atteso ieri sera ed è arrivato ieri mattina. Più in anticipo che puntuale. Almeno lui: il volto da copertina è il suo. Due anni fa, in coda a un altro ritiro, De Laurentiis disse che era nato il Napoli osimheniano, ma quella fantasiosa definizione legata a un giovanotto di ventuno anni appena arrivato e forse un po' spaesato sembrò più che altro una speranza. Oggi, a distanza di ventiquattro mesi, è una realtà.
Il Napoli di Osimhen
Il club ha ricevuto una valanga di telefonate per lui, davvero un bel po', ma la richiesta di De Laurentiis - 110 milioni di euro - ha spaventato tutti: dal Bayern allo United, passando per l'Arsenal e l'Atletico Madrid. L'unico a mostrare un piglio fiero, forte dell'incredibile patrimonio della proprietà, è stato il Newcastle; risposta di Osi: no, grazie. Salvo poi seminare panico dalla Nigeria dopo i saluti già scritti di Insigne, Mertens e Ospina: «Tutto può accadere, so che ci sono tante voci in Inghilterra e in Spagna». Già, ma alla fine è arrivato a Dimaro, è rimasto al Napoli, e da ieri ha cominciato ad allenarsi con il gruppo e a correre e lottare fino all'ultima goccia di energia. Innescando entusiasmo e sorrisi.
Osimhen, il centravanti di Spalletti
I tifosi, molto silenziosi e sfiduciati dopo la cessione di quello che passerà alla storia come il capitano fantasma, nominato però mai effettivamente in carica, sono stati rianimati dal figlio del vento: gli applausi sono tutti per lui perché in questo momento è lui, dicevamo, la vera speranza. E quando le prove tattiche entrano nel vivo, e Osi comincia a fare la solita guerra (sportiva) avanti e indietro, attacco e difesa, la gente s'infiamma e urla di gioia. Sì: ecco perché quello che ieri si è svegliato senza Kalidou ma poi ha pranzato e cenato con Victor è il Napoli osimheniano. Chitarra elettrica e batteria, fulmini e saette. E gol: il centravanti ne è dipendente e la squadra dipende da lui. E Spalletti, in quest'ottica, dovrà impostare il gioco facendo leva sulle sue doti di straripante atleta, cento metri e salto in alto, ricamando l'intesa con le ali-turbo di nome Lozano e Kvaratskhelia.
Napoli, nuovo ciclo
L'inquietudine dei giorni di giugno, perché Osimhen è stato inquieto sul serio e anche infastidito dal clima d'incertezza legato al suo futuro, è acqua passata: la scalata sulle Dolomiti ha placato un po' la sete e al resto ha pensato il suo manager, Roberto Calenda, impegnato sin dalla fine del campionato nel compito delicato di gestire umore e pensieri. Già: l'attaccante piombato ieri a Dimaro come un raggio di sole, con i capelli colore del sole, ha compreso responsabilmente il momento e ha cominciato a sudare. A lavorare, correre, scherzare con tutti i compagni. E a sorridere. Questa è la storia del tramonto di un'epoca ma anche di un nuovo ciclo: e oggi tutti sono aggrappati a lui. Osi. Aspirante leader e concreta speranza.