NAPOLI- È stato bello: però mentre nell’aria s’allunga mestamente l’eco dell’addio di Mertens, nelle immagini che s’accavallano spunta un velo di malinconia. La sensazione che fosse finita, come pure succede ad una “struggente” storia d’amore, s’era percepita da un bel po’ ma lo strappo ufficiale - quel punto di non ritorno - in una separazione di fatto, lascia egualmente un retrogusto amarissimo per una città che aveva ormai un solo idolo, un totem inchiodato non nella propria fantasia ma nella pelle e nelle emozioni che il calcio sa lasciar germogliare empaticamente. Mertens è stato un sentimento, mica semplicemente 148 gol e tutte le cifre che possono rappresentare esclusivamente l’aridità di statistiche che arrivano al cuore. Mertens ha rappresentato un vezzo, uno squarcio di modernità, uno stato d’animo, la rappresentazione (mica scenica) umana della riproduzione tout court d’uno scugnizzo perfettamente eguale alla natura stessa di quella Napoli attraversata con fierezza ed il sorrisino “malandrino”.
Mertens è divenuto, per meriti suoi e di Sarri che se lo inventò, il centravanti più puro, estroso ed estroverso d’una favola contemporanea, il sogno vissuto accarezzando veroniche e diavolerie, pallonetti e iperboli declamati con la delicatezza d’un poeta. Mertens è una fotografia spalmata in nove anni - un tempo infinito, che infatti rimane - e che ha riempito gli occhi di quella Napoli divenuta la sua Patria adottiva, la culla di una vita nuova che nel 2013 si sarebbe impadronito di lui, senza mai essere sfiorato dalla tentazione di lasciarsela alle spalle. Mertens è stato l’eroe della porta a fianco, il carissimo, fedelissimo alfiere di un’epoca che s’è chiusa con il suo commiato e con quello di Insigne, fuoriclasse cerebrali, tutte finte e capolavori annusandosi persino nei loro “no look”. Mertens è stato insieme a Insigne e a Callejon la rappresentazione (quasi) teatrale d’un football divenuto a lungo sublime, tenerissime coccole ma spalmando materia grigia e talento, una melodia da diffondere per anestetizzare i muscoli scolpiti e marmorei d’un altro calcio. Mertens che lascia Napoli - e con lui pure Insigne - è una carezza sul passato e però il languido congedo dallo splendore dell’utopia. Niente è per sempre.