Fermo restando Immobile. Ciro è stato l’ultimo dei Mohicani a strappare lo scettro di capo-cannoniere ai mostri stranieri. Gente del calibro di Cristiano Ronaldo, Victor Osimhen, Lautaro Martinez. Re dei bomber al Toro e in ben tre occasioni alla Lazio, con tanto di vendemmia che lo portò a eguagliare, nella stagione 2019-2020, il record del “napoletano” Gonzalo Higuain (36 gol). Scugnizzo di Torre Annunziata, a 34 anni ha scelto la Turchia. Istanbul, sponda Besiktas. All’incrocio di due continenti, Asia ed Europa, là dove la nazionale è una nazione, sempre, e i soldi - dal calcio al basket al volley - hanno travolto i confini e stravolto gli equilibri. Nel 2021 e nel 2022 - dunque, non proprio nel Medio Evo - l’Anadolu Efes, club di Istanbul, vinse e rivinse l’Eurolega, rodeo che sta alla pallacanestro come la Superlega stava (starebbe o starà, chissà) al football.
Immobile, altro che falso nueve
Altro che falso nueve, Ciro. Centrattacco puro e duro: con quella faccia un po’ così e quell’andatura un po’ cosà di chi preferisce le spine degli agguati alle rose dei ricami: perché uno che va per giungle, preda o predatore in base alla mira e alle bolge, ha bisogno di munizioni, di rifornimenti. Ciondolante e ingobbito, i tifosi hanno cercato tracce che conducessero a Giorgio Chinaglia, il Long John di un’impresa, il titolo del 1974, e di una squadra che il destino prese di petto, non solo in senso metaforico, tra pistole, clan, rapine e lutti. La carriera di Immobile è stata un Giro d’Italia: da Sorrento alla Juventus, a Siena, a Grosseto, al Pescara di Zdenek Zeman, il Luna park di Lorenzo Insigne e Marco Verratti, dalla B alla A in sella al tridente, quindi Genoa, Torino, un paio di “tappe” all’estero com’è ormai di moda persino al Tour (Borussia Dortmund, Siviglia), ancora Toro e, dal luglio del 2016, l’Aquila di Claudio Lotito. Capitano di stile spiccio, dai riflessi leonini, le spalle larghe e la tecnica laboriosa. Il fiuto e la fame lo hanno aiutato a nascondere i deficit di classe. E della classe.
I gol con la Lazio e un trionfo in Nazionale
Gli manca lo scudetto. Vanta, con la Lazio, due Supercoppe e una Coppa Italia; con il Borussia, una Supercoppa tedesca. Con l’Italia, la corona europea di Wembley, l’11 luglio 2021. Il ct era Roberto Mancini. Lo schierò anche in finale, contro gli inglesi. Occhio, però: sostituito già al 55’ da Domenico Berardi e fuori, di conseguenza, dal tiebreak dei rigori.
Luciano Spalletti lo ha escluso dalla spedizione in Germania, pugnalata che, con le cicatrici di poi, ha prodotto più sollievi che rimorsi o rimpianti. Tra i marcatori azzurri occupa il 16º posto, con 17 reti in 57 gare. Davanti di una a Luca Toni e Gianluca Vialli; dietro di due ad Alberto Gilardino e Roberto Bettega. A livello di campionato, in compenso, è ottavo, con 201 gol in 353 gettoni, lontano dal primatista Silvio Piola (290), ma forte di una media addirittura superiore: 0,57 a 0,51. Cavalca un ruolo che barcolla, ostaggio di revisioni e afflizioni; appartiene a una generazione di mezzo, invasa e prigioniera ma non prona. C’era una volta Bobo Vieri, si dice. Con l’aria che tira, si dirà presto c’era una volta Ciro Immobile.