Questo è il momento dell’entusiasmo e della convinzione, riguardo a Paul Pogba, per i dubbi si prega di ripassare. Il mercato è il luogo dei sogni e delle speranze. Ma le domande esistono, nascoste sotto coperta, e anticiparle non è peccato. E le due questioni epocali che riguardano il “Pogback” sono: che Pogba tornerà e cosa potrà dare alla Juventus? Il “polpo” Paul, nei suoi giorni americani, «non vede l’ora» e a Torino vivono lo stesso sentimento. La sua situazione sentimental-calcistica è simile a quella di Romelu Lukaku. Per entrambi i “ritornanti” speciali, l’ultimo anno sociale in Inghilterra non è stato particolarmente felice. Per Pogba 26 presenze e un gol, molte panchine, una vita in riserva, di fiducia, di titolarità. Pogba rientra da Manchester, da dove era arrivato nel 2012 con una felice intuizione del duo Marotta-Paratici, che allora non sbagliavano un colpo, a “parametro uno”: nel senso che Madama consegnò un milione di euro e un paio di casse di barolo a sir Alex Ferguson per amicizia e rispetto nei confronti del totem United. Il momento personale era identico: anche dieci anni fa era finito ai margini. Il resto è gloria.
I lati positivi
Veniamo dunque al primo lato positivo: come nel 2012 ha voglia di dimostrare il suo valore, a se stesso, alla sua nuova strada e a chi aveva rimosso la fiducia in lui. Secondo lato positivo: è ancora giovane, anzi nel pieno della maturità (allora gli scappava qualche marachella e qualche ritardo agli allenamenti: Conte non lo portò a Pescara per punizione). Il suo valore tecnico è ineccepibile: può fare il regista davanti alla difesa, recuperando palloni e rilanciando l’azione a cui partecipa attivamente. Gioca in tutti i ruoli del centrocampo, è duttile. E, soprattutto, ha tiro e senso del gol. Quest’ultimo dettaglio è particolarmente importante per la Juventus che, dal suo addio, ha perso le ultime reti importanti segnate dai centrocampisti. Nel 2015-2016, nella sua ultima stagione bianconera Paul arrivò, tutto compreso, a quota dieci, venendo da 5/9/10 nei tre anni precedenti. In questo anno sociale a zero tituli, il contributo realizzativo del centrocampo bianconero è stato il seguente: Locatelli 3, Rabiot 0, Zakaria 1 (in mezza stagione), Arthur 0, McKennie 0. Se ci aggiungiamo Bernardeschi (2) Cuadrado (5), non proprio centrocampisti, si arriva a 11, cioè uno in più di Pogba nel suo ultimo urrà bianconero. Il vecchio centrocampo, quello della prima parte del novennato, era un centrocampo completo. Sapeva far tutto. Da quel momento in poi, tra parametri zero sbagliati e investimenti falliti, il settore è risultato il più debole della squadra. Pogba non avrà solo un compito tattico/tecnico/realizzativo, ma anche un ruolo di leaderaggio attivo: con le sue capacità e il suo carattere, dovrà portarsi dietro giocatori che non sono più abituati a vincere o, perfino, che non l’hanno mai fatto. Dovrà sintonizzarsi sulle frequenze dei centrocampisti decisivi della serie A, quelli che fanno gli “strappi”, come Nicolò Barella nell’Inter, Sandro Tonali nel Milan, Lorenzo Pellegrini nella Roma, Fabian Ruiz nel Napoli, Sergej Milinkovic-Savic nella Lazio. Questo è il Pogba che serve alla Juventus. Praticamente lo stesso del 2012-2016. Ricordando, però, quello che dice un antenato nel ruolo di “strappatore”, Marco Tardelli: «La Juventus aveva proprio bisogno di un centrocampista così. Per filosofia personale, temo sempre i ritorni, però credo che, se gli altri gli daranno una mano e lui ricambierà, probabilmente faranno bene». E la morale è sempre quella: soli si muore. La canzone proseguiva “senza un amore”, in questo caso senza (tutta) la squadra.