Cosa significa lasciare Bologna per Torino

Leggi il commento sul futuro di Thiago Motta, tecnico dei rossoblù corteggiato dalla Juve
Italo Cucci
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Serata televisiva bolognesissima, ieri. Da una parte Guglielmo Marconi, dall’altra Thiago Motta. Registratore in funzione. Non sto a spiegare per chi dei due. Si capisce. E dire che senza il nostro premio Nobel non avremmo mai goduto “Tutto il Calcio minuto per minuto”. Vabbè, io ho visto in trance la partita Bologna-Juventus che vi racconterà qualcun altro. Ho chiesto solo un po’ di spazio per commentare il vociferato presunto trasferimento di Motta a Torino. Direte - una volta letto il mio intervento e sapendomi rossoblù confesso - che sono in pieno conflitto d’interessi. E invece mi sento in dovere, con tutta l’esperienza che ho, di raccontare a Motta cosa vuol dire lasciare Bologna per Torino; parlo di città a città, non da club a club perché so bene che la chiamata della Signora non può essere ignorata. Campanilismo.

Motta tra Bologna e Juve: il confronto con Maifredi

C’era una volta Gigi Maifredi, arrivò sotto le Due Torri dall’Ospitaletto nell’87, ritrovò un presidente fantasioso, Luigi Corioni, con il quale ricostruì il Bologna. Gigi non fece spendere milioni per acquistare campioni, ad esempio portò con sé un difensore strepitoso che aveva giocato nel Pergocrema, nel Pizzighettone, nell’Orceana. E diventò il Mitico Villa. Detto Renato. E se è vero che vive ancora nella città che ha voluto sua - ricambiato - è verissimo che ha un posto nella storia rossoblù. Insieme a Gigi e all’indimenticato Calcio Champagne. Adesso, per favore, non venite a dirmi che il confronto con l’ottimo Motta non esiste sbattendomi in faccia le partite più belle di quest’ultimo e le recenti feste al Dall’Ara e a Piazza Maggiore. In questo caso credo che dovrò rivolgermi non ai vecchi come me (quelli che festeggiarono l’ultimo scudetto, nel ‘64) ma ai tifosi più giovani, quelli che - incolpevoli - accolsero trionfalmente al suo arrivo in città Arnautovic come se fosse Nielsen o Savoldi. Quelli che c’erano sanno - critici severi compresi - che lo Champagne di Maifredi fu davvero una novità strepitosa, non una velleitaria gazzosa; come un trasporto erotico. Era nato allo stadio - come se fosse l’Arena del Sole - uno spettacolo di gioco che non favoriva l’attacco qualunquistico ma un’aggressività spontanea, addirittura messianica finalizzata al grande equilibrio dei reparti: un rimescolamento tattico più audace di quello di Sacchi. Che vinse e divertì finché resto con Berlusconi.

Zoff, Allegri e la 'Signora Omicidi'

Spero che Gigi legga correttamente questi appunti, che non mi dia dello stronzo - come tanti anni fa - perché prima e dopo Torino mi ribellai alla sua presunzione di farsi juventino, di asservirsi agli Agnelli che - proprio come l’ultimo Allegri espulso senza un grazie - si erano cortesemente liberati di Zoff che alla guida della Juve aveva appena realizzato un double, Coppa Italia e Coppa Uefa. Perché il suo calcio - come quello di Max - non rallegrava certa tifoseria altolocata. Lo stesso mondo che indusse il vicepresidente esecutivo Luca di Montezemolo - fresco di nomina - a ingaggiare l’allenatore miracolo del Bologna, la squadra che amava per nascita. Arrivò a Torino, Gigi, e si ritrovò solo fra chiacchiere altisonanti e vuote al punto di essere soccorso dal Civ e da Giorgino Comaschi che ogni tanto gli facevano visita. L’Avvocato - privo di vittorie juventine che lo attizzavano più dei successi della Uno e della Ritmo - non gradì lo champagne di Maifredi e lo fece restituire al Bologna definendolo “emozionante”. E basta. Poi richiamò Trapattoni. Per questo mi permetto di suggerire prudenza al valoroso Thiago Motta se è vero - come dicono - che la Juve lo vuole. Fra i tanti nomignoli che le abbiamo appiccicato ce n’è uno che vale per amici e nemici: Signora Omicidi.


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