Calciomercato di gennaio, il mercatino delle pulci

Leggi il commento sulla finestra invernale riservata ai trasferimenti appena andata in archivio
Alessandro F. Giudice

La sessione di mercato appena conclusa si può definire un mercatino delle pulci. Da tempo non si avvertiva così forte il vento dell’austerity: perfino la Premier, da anni il mercato big spender per distacco, capace di trainare da solo l’economia del pallone, ha realizzato volumi di acquisti trascurabili piazzandosi addirittura terzo nella classifica dei campionati più spendaccioni. Addirittura dietro la Ligue1 francese e il campionato brasiliano. Secondo i dati di Transfermarkt, i primi 25 tornei per volume di acquisti hanno totalizzato 1,26 miliardi di volumi contro gli 8,6 del mercato estivo. Si dirà che è normale: da sempre è nella sessione estiva che si fanno i consuntivi e si prepara la nuova stagione. Si cambiano le squadre, si pianifica il futuro. Quella invernale si chiama, non a caso, sessione di riparazione per chi deve correggere errori fatti in estate o mettere cavalli nuovi in motori già rodati.

La Serie A chiude con acquisti per 108 milioni

Ma il diavolo è nei dettagli. Il mercato invernale 2022/23 aveva prodotto 1,7 miliardi di acquisti e siamo quindi al 26% in meno. Latita chi l’aveva trascinato negli anni passati: la Premier crolla a 121 milioni di acquisti, da 842,5 nella sessione invernale della stagione scorsa e da un volume di 2,8 miliardi la scorsa estate. Spariti gli arabi: la Saudi Pro League ha comprato per 23 milioni, dopo i 950 spesi nella folle estate 2023. Liga e Bundesliga sono ai livelli abituali, 86 milioni entrambe, ma non sono mai stati big spender invernali. In tempi di vacche magrissime, perfino la Serie A fa la sua dignitosa figura con 108 milioni di acquisti, dai 32 della precedente sessione invernale: in Italia i tifosi si lamentano ma è bene osservare il quadro generale.

Calcio da trasformare in un'industria

Bisogna chiarire: il calcio europeo (e mondiale) non è in recessione. I ricavi aggregati stanno crescendo e hanno superato quasi ovunque, tranne da noi, i livelli pre-Covid. Gli sponsor affluiscono copiosi e i diritti tv si vendono molto bene. Ancora una volta, spiace dirlo, tranne da noi. Forse è prematuro affermarlo, ma potremmo essere nel pieno di un processo di affinamento manageriale che trasforma il calcio in un’industria come le altre, in un business maturo che segua le regole della gestione economica d’impresa. La presenza, sempre più diffusa, di azionisti finanziari e la scomparsa dei munifici magnati d’altri tempi obbliga i manager calcistici a confrontarsi con obiettivi più razionali.

La svolta rigorista della Premier League

La svolta rigorista della Premier sul rispetto dei parametri finanziari ha impresso una sterzata nelle politiche gestionali dei club, sospinte da volumi di ricavi impareggiabili, ma appesantiti da strutture elefantiache di costi e non sempre brillanti nella gestione delle risorse perché l’abbondanza, si sa, vizia. L’Everton è stato punito duramente per violazione delle regole di sana amministrazione, con 10 punti di penalità che potrebbero condannarlo alla retrocessione. Anche il Nottingham trema mentre City e Chelsea sono sotto la lente dei regolatori. Chiaro che tutti cerchino di rientrare nei ranghi per evitare le maglie della giustizia sportiva.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il modello Liga e l'indecifrabile pausa dei sauditi

In Spagna, la Liga ha congelato l’ultima tranche (350 milioni) dei pagamenti ricevuti dal fondo di private equity CVC a cui ha ceduto la quota della media company costituita per gestire i diritti tv. Un modello che la Serie A ha sciaguratamente bocciato. Con una lettera, inviata ai club spagnoli, i regolatori nazionali hanno chiesto a ognuno di sottoporre un piano economico in cui illustrare come intendano investire i proventi. Investire, dunque, non spendere sul mercato per comprare giocatori. La pausa di riflessione dei capitali arabi si sente. Non è facile decifrare le intenzioni dei sauditi che pochi mesi fa sembravano voler lanciare un’Opa sul calcio europeo e oggi disertano il mercatino di gennaio. Le prossime finestre chiariranno se è una pausa o un ripensamento.


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La sessione di mercato appena conclusa si può definire un mercatino delle pulci. Da tempo non si avvertiva così forte il vento dell’austerity: perfino la Premier, da anni il mercato big spender per distacco, capace di trainare da solo l’economia del pallone, ha realizzato volumi di acquisti trascurabili piazzandosi addirittura terzo nella classifica dei campionati più spendaccioni. Addirittura dietro la Ligue1 francese e il campionato brasiliano. Secondo i dati di Transfermarkt, i primi 25 tornei per volume di acquisti hanno totalizzato 1,26 miliardi di volumi contro gli 8,6 del mercato estivo. Si dirà che è normale: da sempre è nella sessione estiva che si fanno i consuntivi e si prepara la nuova stagione. Si cambiano le squadre, si pianifica il futuro. Quella invernale si chiama, non a caso, sessione di riparazione per chi deve correggere errori fatti in estate o mettere cavalli nuovi in motori già rodati.

La Serie A chiude con acquisti per 108 milioni

Ma il diavolo è nei dettagli. Il mercato invernale 2022/23 aveva prodotto 1,7 miliardi di acquisti e siamo quindi al 26% in meno. Latita chi l’aveva trascinato negli anni passati: la Premier crolla a 121 milioni di acquisti, da 842,5 nella sessione invernale della stagione scorsa e da un volume di 2,8 miliardi la scorsa estate. Spariti gli arabi: la Saudi Pro League ha comprato per 23 milioni, dopo i 950 spesi nella folle estate 2023. Liga e Bundesliga sono ai livelli abituali, 86 milioni entrambe, ma non sono mai stati big spender invernali. In tempi di vacche magrissime, perfino la Serie A fa la sua dignitosa figura con 108 milioni di acquisti, dai 32 della precedente sessione invernale: in Italia i tifosi si lamentano ma è bene osservare il quadro generale.

Calcio da trasformare in un'industria

Bisogna chiarire: il calcio europeo (e mondiale) non è in recessione. I ricavi aggregati stanno crescendo e hanno superato quasi ovunque, tranne da noi, i livelli pre-Covid. Gli sponsor affluiscono copiosi e i diritti tv si vendono molto bene. Ancora una volta, spiace dirlo, tranne da noi. Forse è prematuro affermarlo, ma potremmo essere nel pieno di un processo di affinamento manageriale che trasforma il calcio in un’industria come le altre, in un business maturo che segua le regole della gestione economica d’impresa. La presenza, sempre più diffusa, di azionisti finanziari e la scomparsa dei munifici magnati d’altri tempi obbliga i manager calcistici a confrontarsi con obiettivi più razionali.

La svolta rigorista della Premier League

La svolta rigorista della Premier sul rispetto dei parametri finanziari ha impresso una sterzata nelle politiche gestionali dei club, sospinte da volumi di ricavi impareggiabili, ma appesantiti da strutture elefantiache di costi e non sempre brillanti nella gestione delle risorse perché l’abbondanza, si sa, vizia. L’Everton è stato punito duramente per violazione delle regole di sana amministrazione, con 10 punti di penalità che potrebbero condannarlo alla retrocessione. Anche il Nottingham trema mentre City e Chelsea sono sotto la lente dei regolatori. Chiaro che tutti cerchino di rientrare nei ranghi per evitare le maglie della giustizia sportiva.


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