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È una notizia: torna a casa Messi. E una supplica: torna a casa, Messi. Torna in questo albergo dove abitasti fanciullo, dove ti raddrizzammo le gambe e ti affinammo le capacità, dove hai partecipato alla manifestazione di un altro tipo di calcio, il guardiolismo che poi altri tentarono goffamente di replicare senza rendersi conto che mancava l’ingrediente fondamentale della pozione magica, cioè tu stesso. Che cosa gliene poteva importare all’inventore dalla voce placida e dallo sguardo intenso, tanto c’eri tu che dopo un quarto d’ora di passeggiata dei sacerdoti portatori di palla sulla riva dell’area di rigore ti stufavi, saltavi un paio di difensori e se ti veniva bene mettevi in rete, oppure lasciavi fare ad altri dopo aver creato lo spazio, golem e centravanti di quel gioco anestetizzante.
Cose a metà
D’accordo, stiamo empiamente esagerando. Il fatto è che a Barcellona hanno bisogno di te come non mai, o almeno quanto ne avevano allora. Prima che ti sentissi abbastanza vecchio e abbastanza assolto dai debiti di riconoscenza per pretendere altro, prima che immaginassi il calcio come sarebbe dovuto diventare, di stanza in Francia, di proprietà di qualche Stato arabo, collezione di facce note, cast di stelle raccolte nell’illusione che in quel modo non servissero né regia né fotografia e neppure sceneggiatura. Il risultato è che il Paris Saint-Germain è rimasto leader locale, il calcio è cambiato ma in altri sensi e tu sei diventato il secondo o forse il terzo uomo della tua squadra pur rimanendo nella fantasia collettiva e in qualche premio stantio il primo al mondo. Mentre l’altro, il tuo doppio, la tua nemesi, quel Cristiano Ronaldo, almeno ha scelto l’Arabia vera. Non lascia mai le cose a metà, lui.
Bisogno di Messi
Allora è meglio tornare a casa, chiudere la parabola superati i trentacinque anni. Tornare nel Barcellona che stravincerà la Liga ma è stato sbatacchiato fuori dell’Europa da Inter, Bayern e United. Che ha dovuto attaccare un rosso di oltre un miliardo a colpi di cessioni di diritti televisivi presenti e futuri, che non sa se potrà tenersi una pepita come Gavi, che non incute autentico rispetto neppure a un ragazzino dell’età di Ansu Fati. E che quindi ha bisogno di Messi. Come simbolo e come trofeo per i tifosi, di sicuro. Come arma di distrazione, probabilmente. E in fondo persino come giocatore, ma molto in fondo.