ROMA- L’11 luglio 1997, quindicesimo anniversario del trionfo azzurro a Madrid, sui giornali non campeggiava la celebrazione di quell’evento ancora relativamente recente ma tra i titoli di prima pagina, dedicati al mercato, sul Corriere dello Sport-Stadio ne spiccava uno: “Ancelotti rifiuta Roby Baggio”. Tornato al Milan, Capello aveva spiegato al fuoriclasse di Caldogno che per lui non c’era più posto. Carletto, allora in fase di costruzione tecnica di se stesso al Parma, aveva poi fatto saltare il trasferimento dell’ex rossonero, fedele al suo 4-4-2, refrattario al fantasista (e al ribelle anti-Sacchi di Usa ‘94, aggiungiamo noi). Così Baggino sarebbe di lì a breve finito al Bologna, a far sacramentare Renzo dell’Ulivieri e a mandare in sollucchero il Dall’Ara.
Siamo partiti da qui, dalla suggestione della coincidenza cronologica, per aprire un parallelismo tra il Fenomeno di Caldogno e Paulo Dybala, alle prese con una strana estate rivelatasi incerta oltre le aspettative circa le sue prospettive future, passato da essere numero 10 bianconero e stella milionaria juventina a svincolato in cerca di approdo. Proprio come accaduto a Baggio, in questo caso nell’estate 1995, quando la Juve, in accordo con Lippi, rinunciò a rinnovargli il contratto (pur con 14 gol e 11 assist in 29 presenze). Anche lui ventottenne come ora l’argentino, nel pieno della maturità agonistica insomma, alla fine scelse il Milan, nonostante il pressing dell’Inter di Moratti (dove sarebbe finito tre anni più tardi, dopo una serie di alti e bassi). Ricordiamo tutto questo non solo perché il parallelismo tra i due ha una sua ragion d’essere (per il valore di entrambi i giocatori, per lo sfilacciamento progressivo dei rapporti con un club, la Juventus, che li aveva battezzati come simboli di qualità prima di tagliare i ponti) ma anche per ragionare su quanto sia delicata la scelta che deve compiere adesso la Joya (reduce da 39 presenze, con 15 gol e 6 assist). Guai se il summit in programma a breve col proprio manager, Antunes, dovesse risolversi soltanto sul piano della scelta della migliore offerta economica.
Dybala ha bisogno di una piazza importante, ovviamente, ma soprattutto di fiducia e di un progetto che gli consenta di riallacciare il filo della sua classe indiscutibile con un rendimento all’altezza, smarrito per varie ragioni nelle sue due ultime stagioni, non solo a Torino ma anche con Albiceleste. Proprio Scaloni, nel giugno 2021, escludendolo dall’Argentina di lì a poco avviatasi a vincere la Copa America, ne certificava l’appannamento, lui reduce da una stagione tribolitassima (la peggiore da juventino: 5 gol in 26 presenze). La preparazione a Miami, accanto alla fidanzata Oriana, allora come adesso, poi l’arrivo in Italia, deciso a rilanciarsi col ritorno di Allegri. L’orizzonte tornato promettente al punto di sentirsi vicinissimo a un rinnovo da top player, lo scorso ottobre (quadriennale da 10 milioni netti all’anno), garantito anche dalla nuova gestione targata Arrivabene. La Joya invece si è trovata ben presto su un piano inclinato, con la Juve costretta a inseguire addirittura il quarto posto. L’arrivo di Vlahovic anticipato a gennaio per cercare di salvare l’annata, e il forte investimento della società, legato a prestazioni in bianco e nero dell’argentino, hanno portato alla rottura, anche sul piano personale, tra l’ad e il giocatore, tra parole taglienti e sguardi dal campo che hanno chiuso il discorso. A Dybala è restata la soddisfazione di segnare il 3-0 all’Italia, a Wembley, l’1 giugno scorso, appena entrato in campo, dopo che Di Maria aveva imperversato sui campioni d’Europa. Poi in Florida è iniziata la sua estate dei dubbi. Da sciogliere ora, come Baggio 27 anni fa.